sabato 23 febbraio 2013

La seduzione delle folle


I segreti della retorica tutta "eros" e poco logos"

Stefano Bartezzaghi

"La Repubblica", 21 febbraio 2013

Andare insieme, cum ire: è l`etimo comune al comizio e al coito. Un habitué dei due generi disse: «I miei non sono discorsi nel senso tradizionale della parola; sono allocuzioni, prese di contatto tra la mia e la vostra anima, tra il mio cuore ed i vostri cuori». Benito Mussolini, 1925. Carlo Emilio Gadda lo smentirà con risentita ferocia: «E codesta multitudine nostra la vuol essere tocca e titillata nel cuore: "il buon cuore dei milanesi", "il gran cuore del popolo romano" e altre baggianate del genere». No, Mussolini non cercava il contatto con le anime bensì con i corpi, non proponeva sentimenti ma scosse emozionali, vibrazioni magnetiche; in una parola: sesso. Conclusione di Gadda: «Tutto ciò è Eros, non Logos».
Uno studio linguistico sulle elezioni del 2006 (L`italiano al voto, Accademia della Crusca, 2008) di comizi non parlava. Sette anni dopo, invece, il comizio pare tornato, o come format tradizionale appena corretto nei tempi e nei topoi (Pierluigi Bersani) oppure ibridato con altri generi: il monologo comico (Beppe Grillo), la convention aziendale (Silvio Berlusconi), il concerto in piazza (Umberto Bossi: vedi Marco Belpoliti, La canottiera di Bossi, Guanda). Ritroviamo tutte queste modalità nel Discorso grigio della compagnia teatrale Fanny & Alexander, dove l`attore teatrale Marco Cavalcoli, si trasforma in una sorta di blob vivente e montaparole realmente pronunciate da questi e altri leader in un discorso politico insensato ma plausibile.
Il comizio non è un discorso politico come gli altri. Questi sono rivolti innanzitutto agli indecisi e vogliono sedurre, conquistare. Non disdegnano affatto il ragionamento ma lo usano come il latin lover usa il suo pomposo vaniloquio: per far sentire intelligente la preda. Nel comizio, la preda è invece già al laccio. Il comizio è il luogo della «fraudolenta verbalità», della «burbanza delle frasi lapidarie», « della imperatoria grinta» (Gadda, su Mussolini). Gli indecisi sono fuori posto, ma l`eccitazione generale può contagiarli.
Codificata sin dal sec. a. C. da Quinto Tullio Cicerone (fratello di Marco), nel Commentariolum petitionis, (il "Manualetto di campagna elettorale" cui vent`anni fa Giulio Andreotti appose una sorniona prefazione), la retorica comiziale prescrive l`appello diretto agli interlocutori ("Compagni!", per la sinistra; "Amici!" per la vecchia Dc; "Amici e compagni" per il centrosinistra; "Camerati!" per i fascisti; "Italiani!" per Mussolini e ora Grillo) e consiglial`uso abbondante di parole-ringhio (quelle che contengono già in sé una denigrazione: fascista, comunista, mascalzone...); oggi, anche di insulti veri e propri. Il comiziante piuttosto che un cantante è un batterista: sillaba i termini-chiave e cura molto di più l`andamento ritmico delle sue frasi che non i contenuti. Parla per slogan, eleva iperboli, usa anafore e ripetizioni in genere per martellare le parole, se non i concetti, nella memoria.
Il comizio insomma non propizia la conquista: è l`atto che la sancisce. Introducendo la sua fondamentale antologia Parole al potere. Discorsi politici italiani (Bur), Gabriele Pedullà ricorda il Mussolini ritratto da Filippo Tommaso Marinetti: «Oratore futurista che sfronda, incide, trapana, strangola l`argomento avversario, fende la folla come un mas, come un siluro». Sono analogie trasparenti. Ritornano nell`Eros e Priapo di Gadda, che deve essere a sua volta tornato in mente a Guido Vergani quando, nei primi anni Novanta, andò a un comizio del Bossi ancora giovane e descrisse la «satiriasi oratoria del messia». 
Le regole prevedono l'appello agli ascoltatori gli insulti sanguinosi per gli avversari l`uso di slogan, iperboli e ripetizioni e, soprattutto, un ricorso sapiente al ritmo.

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