Stefano Gattei
"Corriere della Sera - La Lettura", 17 febbraio 2013
Quanto è lunga la costa della Bretagna? Forse nessuno sa rispondere a questa domanda senza consultare un atlante o cercare velocemente in Rete. Tutti (o quasi) sarebbero però d'accordo sul fatto che una risposta da qualche parte esiste, e che si tratta di un numero ben definito in rapporto a una data unità di misura. Le cose, però, sono più complicate di quello che sembra.
Questa stessa domanda costituisce il titolo di un breve ma rivoluzionario articolo pubblicato da Benoît B. Mandelbrot (1924-2010) sulla rivista «Science» nel 1967. Per rispondere, l'autore prende in considerazione un tratto di costa e muove da alcune considerazioni: la lunghezza è almeno uguale alla distanza in linea retta tra le estremità del tratto considerato; questo è però quasi sicuramente sinuoso, e di conseguenza è più lungo della retta che congiunge i suoi estremi. Per misurarlo si può procedere in vari modi, per esempio utilizzando un compasso di ampiezza fissata; alla fine, il prodotto del numero di rilevamenti per l'ampiezza dello strumento darà una prima misura della lunghezza del tratto di costa. Se si ripete l'operazione riducendo progressivamente l'apertura del compasso, tuttavia, la misura finale tenderà ad aumentare sempre di più. Non solo: se passiamo a una misura sempre più precisa di un tratto sempre più delimitato di costa, fino a considerare uno scoglio, un granello di sabbia, o anche solo una sua molecola, incontreremo sempre i medesimi ostacoli. Ogni misura dipenderà, inevitabilmente, dalla maggiore o minore capacità del nostro compasso di «avvicinarsi» al profilo reale. Avremo però sempre un risultato approssimato, come quando cerchiamo di far aderire un foglio di carta stagnola a un oggetto frastagliato.
Nel suo testo fondamentale sull'argomento, Gli oggetti frattali (uscito a Parigi nel 1975 e in edizione inglese rivista nel 1984), Mandelbrot analizza le proprietà comuni alla frequenza dell'uso delle parole e alle statistiche delle piene del Nilo, alla distribuzione delle galassie e alla struttura interna delle arterie e dei bronchi. In ognuno di questi casi, e in moltissimi altri, ogni piccola parte dell'oggetto è un'immagine esatta, su scala ridotta, dell'oggetto intero.
Come caratterizzare matematicamente questa proprietà, detta di autosimilarità? Per farlo Mandelbrot utilizza una generalizzazione dei concetti matematici introdotti da vari autori prima di lui (Henri Poincaré, Felix Hausdorff, Karl Weierstrass, Helge von Koch, Pierre Fatou e Gaston Julia, ma anche Giuseppe Peano) cui dà il nome di dimensione «frattale», dal latino fractus: «spezzato», «frammentato». Noi siamo abituati ad attribuire una dimensione intera agli oggetti: una dimensione per rette e curve, due dimensioni per piani e superfici, tre per un solido. A differenza di questi, gli oggetti «frattali» hanno una dimensione frazionaria.
L'approccio di Mandelbrot, reso possibile dal contemporaneo sviluppo dei computer (lavora per 35 anni presso i laboratori Ibm), ribalta la prospettiva tradizionale, consentendo di trattare le irregolarità non più come imperfezioni, ma come entità intrinseche e quantificabili. Oggetti comuni quali le strutture di piante, il profilo di nuvole e montagne, il greto dei fiumi, la forma dei fulmini, e così via, diventano misurabili: non più considerati imperfezioni, o irregolarità non trattabili rigorosamente, diventano suscettibili di studio, aprendo nuove vie alla ricerca.
I frattali si rivelano fondamentali tanto per il loro impatto scientifico quanto per il loro ruolo di rottura nei confronti della tradizione platonico-pitagorica. Con il suo lavoro, infatti, il matematico francese dà il colpo di grazia al programma bourbakista di rifondazione della matematica, al cui naufragio (negli anni Settanta) contribuì la presa di coscienza che l'eccessiva attenzione nei confronti degli aspetti formali si scontrava, da una parte, con l'impossibilità di un fondamento solido e coerente dell'edificio matematico e, dall'altra, con la necessità di consentire una maggiore libertà concettuale per perseguire nuove linee di ricerca (come successe con il calcolo infinitesimale nel XVII secolo, che poté svilupparsi sacrificando il rigore formale al fine di ottenere nuovi risultati).
Nella propria autobiografia, The Fractalist. Memoir of a Scientific Maverick (uscita postuma poche settimane fa per Pantheon Books, New York), Mandelbrot racconta di quando suo padre, durante la Seconda guerra mondiale, scampò alla morte abbandonando il gruppo di prigionieri fuggiti insieme a lui da un campo di concentramento tedesco e in marcia verso la città più vicina. Egli ritenne che procedere tutti insieme, lungo la strada principale, fosse troppo rischioso; si addentrò quindi nel bosco circostante, per tentare di ritornare a casa da solo. Di lì a poco, un bombardiere Stuka avrebbe mitragliato il gruppo di prigionieri, lasciandolo unico sopravvissuto. L'indipendenza di giudizio del padre sarà per Mandelbrot un modello: per tutta la vita egli avrebbe sempre proceduto, vigorosamente e caparbiamente, in una direzione diversa da quella degli altri. «Ortogonale rispetto a qualsiasi moda», come disse un suo amico matematico, Mandelbrot ha sollevato problemi nuovi in quasi tutti i campi di cui si è occupato: fisica, biologia, medicina, cosmologia, geologia, economia, linguistica, informatica e, naturalmente, matematica.
Un ruolo particolare ha svolto anche il lato estetico: è sufficiente un computer con un processore modesto e contenute capacità grafiche per esplorare frammenti sempre più piccoli di oggetti frattali semplici, scoprendo aspetti sempre nuovi. La chiave del successo, tuttavia, è stata la fecondità teorica della nuova geometria, capace di evidenziare strutture comuni a campi di indagine ritenuti lontani, quali la struttura delle galassie e la dinamica che accomuna i processi della corteccia cerebrale nei mammiferi, dal topo alla balena, passando per l'uomo.
A partire dagli anni Sessanta, l'applicazione del
la geometria frattale a questioni economiche ha condotto Mandelbrot a mettere in discussione alcuni consolidati fondamenti dell'economia classica e della finanza moderna, quali l'ipotesi di razionalità dei comportamento degli agenti economici, l'efficienza del mercato e quella secondo cui l'oscillazione dei prezzi è descrivibile come un cammino casuale, analogo al «moto browniano» di una particella in un fluido. Nel suo ultimo libro prima dell'autobiografia, Il disordine dei mercati (2004), Mandelbrot afferma la necessità di abbandonare l'idea che i mercati siano entità «moderatamente variabili». Quelle che i modelli economici tradizionali considerano anomalie imprevedibili sono, ai suoi occhi, il modo naturale di funzionare dei mercati, rappresentabile con gli strumenti messi a disposizione dalla geometria frattale: la volatilità dei prezzi è intrinsecamente selvaggia; il loro andamento è «ruvido», non liscio e continuo. «Quasi tutti i modelli più comuni, in natura, sono ruvidi», scrive in apertura dell'autobiografia. «Presentano aspetti che sono squisitamente irregolari e frammentati. Non semplicemente più elaborati della meravigliosa e antica geometria di Euclide, ma di una complessità enormemente più grande. Per secoli, l'idea stessa di misurare la ruvidità è stato un sogno vano — un sogno a cui ho dedicato la mia intera vita di scienziato».
Stefano Bucci
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