Alle radici del mito
Euridice muore perché il poeta era «assente nella vita» e il verso alla fine è distruttivo
Più dell’amata Orfeo ama l’arte
L’intreccio vita morte arte rinascita da Virgilio a Ovidio, da Platone alla Cvetaeva
Ferdinando Camon
"La Stampa - TuttoLibri", 23 febbraio 2013
Sta per uscire il film su Steve Jobs, sarà un’apoteosi, Steve ha cominciato l’impresa nel famoso garage insieme con un amico, lui è morto ma l’amico è vivo, sarà contento l’amico della gloria che gli piove addosso? Nient’affatto: appare nei tg e protesta, il film è un inganno, lui meriterebbe ben altro. Noi pensavamo: Bassani ha immortalato Ferrara, Ferrara amerà Bassani. Moravia ha immortalato una Ciociara, la Ciociaria lo amerà. Non è così. Io pensavo: Carlo Levi, mandato al confino a Grassano, in provincia di Matera, ha dedicato a quella terra Cristo si è fermato a Eboli, e così ha fatto di quella terra (altrimenti sconosciuta) una delle grandi terre dello Spirito. Sono grati, gli abitanti, al grande ospite che hanno avuto in casa? Il parroco mi chiama a ricordare l’autore e il libro, in chiesa, la chiesa è piena, prima delle prime parole il prete scappa via alcuni minuti, quando torna gli chiedo: «Ma reverendo, dov’è andato? », «A portar lontano le ostie», «E perché mai? », «Perché lei parlerà di Carlo Levi», «Certo, m’ha chiamato per questo e questo farò», «Sì, ma ho paura che i parrocchiani si mettano a bestemmiare, e le ostie non devono sentire le bestemmie».
Resta in me il più forte esempio di un autore che dedica un libro immortale a una comunità, e la comunità non lo ama. Per la comunità, lui non ha amato la comunità ma se stesso. A tutto questo penso leggendo l’acuto e profondo libro di Giulio Galetto, scrittore, saggista e critico letterario, che vive a Verona. È un libro sul mito di Orfeo ed Euridice. L’ho già detta qui, molti anni fa, in un articolo su Platone, ma poiché è importante, il lettore mi permetta di ripetere la definizione che faccio mia di mito. La ricavo dal libro di una studiosa tedesca, un vecchio libro: Paula Philippson, Origini e forme del mito greco, Einaudi. Noi viviamo nel tempo che passa, e la nostra conoscenza è l’opinione. Gli dèi vivono nel tempo che è, e la loro conoscenza è la verità. Se il tempo che passa attraversa per un attimo il tempo che è, nasce un incontro, in greco simbolo, e la forma di conoscenza del tempo simbolico è il mito. Il mito è il nostro modo di conoscere ciò che fu, che è e che sarà. Ogni figlio è un Edipo, come Freud ci spiega. Ogni artista che suona o canta o scrive per l’amata, è un Orfeo.
Il libro di Galetto ha in copertina la riproduzione a colori di un marmo del Museo Archeologico di Napoli: il gruppo Orfeo-Euridice-Ermes nel momento in cui Orfeo perde Euridice. Orfeo era sceso nell’Ade, placando con la lira gli dèi e gli animali ìnferi, e la dea della morte gli consente di riportare in vita Euridice, a patto di non voltarsi mai indietro nel viaggio di risalita. Lui si volta e la perde. L’intreccio vita-morte-arte-rinascita è raccontato da tanti autori antichi e moderni, e Galetto qui scava nei loro racconti (tra gli altri, Virgilio, Ovidio, Platone, Boezio, la Cvetaeva).
Magris, che a questo libro dedica una alta e partecipe introduzione, e Rilke, che pare scriva i suoi versi proprio osservando il marmo di Napoli, lo stesso che noi, scorrendo le pagine, torniamo continuamente a osservare sulla copertina). Rilke nota che Orfeo stringe la lira e non la donna. Il mito dice che cerca la vita, non la poesia. In realtà sta sempre con la poesia. Euridice è morta perché un serpente l’ha morsa, ma dov’era Orfeo? Non a proteggerla. Il poeta è «assente nella vita, ma presente nella vita trasformata in canto». Nel marmo Euridice tocca con la mano sinistra la spalla di Orfeo. Lo stringe, lo attira? No, lo respinge. Non si sente amata, se non come figura del canto. L’artista, quando scrive versi per l’amata, ama l’arte più che l’amata. L’arte, anche quando sembra celebrativa, in realtà è distruttiva.
Un estratto: CLICCA QUI.
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