sabato 23 febbraio 2013

Il Faust digitale del nuovo capitalismo


Ulrick Beck


"La Repubblica",  23 febbraio 2013

SULL’HOMO oeconomicus, sull’ideologia neoclassica o neoliberale è stato detto tutto – ma non da tutti. Già nel 1832 Goethe, il poeta tedesco prediletto, aveva preconizzato – in versi! – nella seconda parte del suo Faust il dominio mondiale del denaro. Eppure, all’inizio del XXI secolo dobbiamo aggiungere qualcosa di essenziale, di nuovo, di originale: il “Faust digitale” o, più precisamente, la temerarietà e la cecità “faustiani” dell’ego-capitalismo.
Frank Schirrmacher, condirettore della Frankfurter Allgemeine Zeitung, nel suo libro Ego, appena uscito, descrive come l’implementazione di questo “nuovo” egoismo acquisti un carattere normativo e dopo la guerra fredda suggelli la vittoria della teoria della rational choice fin nei più piccoli dettagli del mondo della vita. Anzi, addirittura fin nell’anima digitale dell’“homo novus”. Perfino la formula della mauvaise fou coniata da Jean-Paul Sartre non va abbastanza a fondo, poiché presuppone pur sempre la libertà della scelta di se stessi. L’Io colonizzato dal capitalismo ha però perduto questo orizzonte di alternatività. Naturalmente, gli economisti dicono quello che dicono sempre: si tratta soltanto di modelli. L’homo oeconomicus non è altro che un’ipotesi. Chiaramente, lo era prima di diventare un soggetto che agisce mediante sistemi operativi.
Il real drama dal finale aperto, di cui noi tutti siamo oggi attori e spettatori, vittime e complici, ruota attorno a come l’“homunculus oeconomicus” – un cyborg, un androide, una figura artificiale, un essere uomomacchina – sia uscito dai “laboratori frankensteiniani di Wall Street”. Questa narrazione drammatica trae forza anche dalla brutale semplicità con la quale all’ipercomplessità del mondo si reagisce con 1 e 0, sì e no, accendere e spegnere; questo, per le persone ridotte a codici informatici, significa “agire” in base alle leggi degli economisti. L’individuo individualizzato, astratto, è altrettanto poco complesso e altrettanto poco sociale quanto i pezzi degli scacchi, che servono a ingannare strategicamente l’altro.
Non si crede più a nulla, ma solo a ciò che si vuole. Da qui la sfiducia di tutti nei confronti di tutti, dalla quale si diffonde ovunque il male. Qui sta il paradosso: nel momento storico in cui le istituzioni del welfare, i mercati finanziari e il rapporto con l’ambiente naturale sono entrati in una crisi fondamentale, nascono le “ego-monadi”. La loro funzionalità non consiste soltanto nel mettere in ombra le conseguenze del proprio agire per gli altri. Esse vanno anche decifrate come strategia di schivamento del rischio in un mondo di rischi globali — come patologia sociale dell’ego-capitalismo. La crisi finanziaria e dell’euro dischiude soltanto un primo sguardo su questo accecamento del Faust digitale. I mercati finanziari sono soltanto i primi mercati automatizzati. Ma altri ne seguiranno. Comunicazione sociale, big data, i servizi segreti, il controllo dei consumatori, i veri o presunti terroristi, le università nella vertigine delle riforme neoliberali, le relazioni d’amore digitalizzate, gli scontri tra le religioni mondiali nello spazio digitale, ecc.
Cosa c’è di nuovo nel Faust digitale? Nel Medioevo gli alchimisti cercavano di trasformare metalli non nobili in oro. Gli odierni “alchimisti del mercato” (Schirrmacher) trasformano ipoteche tossiche e altamente rischiose in prodotti di prima classe, classificati come tanto sicuri da venire acquistati dai fondi-pensione. Si può comperare una casa senza denaro e continuare a spendere il denaro che non esiste? Sì, si può, ribattono i giocolieri neoalchimisti delle banche too-big-to-fail che operano in tutto il mondo.
Quanto al resto: la religione, Freud, la poesia – tutto nel museo delle idee morte dell’umano! Dinanzi a noi sta il nuovo mondo della manipolazione digitale dell’anima. L’hybris di potenza faustiana confina con il filisteismo. Innumerevoli, spesso stolidi attori digitali sono così innamorati delle loro idee da non accorgersi che da ingredienti come il proprio tornaconto, la ricerca del profitto ad ogni costo e la capacità di escogitare trucchi nascono mostri. Anche mostri politici. La politica del risparmio, con la quale attualmente l’Europa risponde alla crisi finanziaria scatenata dalle banche, viene percepita dai cittadini come una mostruosa ingiustizia. Per la leggerezza con la quale le banche hanno polverizzato somme inimmaginabili essi devono pagare con la moneta sonante della loro esistenza.
I tecnocrati della finanza, questi interpreti della mostruosità, hanno sviluppato un linguaggio curiosamente terapeutico. I mercati sono “timidi” come caprioli, dicono. Non si lasciano “ingannare”. Ma gli inappellabili giudici economici, chiamati “agenzie di rating”, che professano anch’essi la religione mondana della massimizzazione dei profitti, emettono, in base alle leggi dell’ego-capitalismo, sentenze che colpiscono interi Stati al cuore della loro economia – perlomeno quella dell’Italia, della Spagna e della Grecia.
“Ognuno deve diventare il manager del proprio Io” (Schirrmacher). È passato il tempo nel quale gli imprenditori erano imprenditori e i lavoratori lavoratori. Ora, nello stadio dell’ego-capitalismo, è sorta la nuova figura sociale dell’“imprenditore di se stesso”; ossia, l’imprenditore scarica sull’individuo la coazione all’autosfruttamento e all’autooppressione e questo dovrebbe suscitare entusiasmo, poiché questo è l’uomo nuovo, generato nel bel mondo nuovo del lavoro. L’imprenditore di se stesso diventa, per così dire, la “pattumiera” dei problemi insoluti di tutte le istituzioni. E deve trasformare a sua volta la pattumiera, questo garbage can a cui è stasione to ridotto, in un processo creativo di se stesso.
E tuttavia l’“individualizzazione”, intesa in senso sociologico, è ben più di questo: è “individualismo istituzionalizzato”. Non si tratta soltanto di un’ideologia sociale o di una forma di percezione del singolo, ma di istituzioni centrali della società moderna, come ad esempio i diritti civili, politici e sociali fondamentali, che hanno tutti per destinatario l’individuo. Nasce così una generazione global, interconnessa in una rete transnazionale e avviata a sperimentare come l’individualismo e la morale sociale possano tornare ad accordarsi tra loro e come la libera volontà e l’individualità si possano conciliare con il mettersi a disposizione degli altri.
Molti ragazzi non sono più disposti a essere soldati che eseguono le direttive gerarchiche delle organizzazioni assistenziali o a dare, o meglio a consegnare il loro voto come soldati di partito che devono soltanto fare numero. Al contrario: le istituzioni – sindacati, partiti politici, chiese – stanno diventando cavalieri senza cavalli. La ribellione e la critica contro il capitalismo che si stanno diffondendo nel mondo nascono da entrambi questi fattori e dalla loro collisione:l’individualizzazione dei diritti fondamentali e la mercatizzazione dell’Io, conseguenza di regole economiche cristalline.
Al più tardi a partire dalla fusione del nocciolo del capitalismo finanziario il messaggio con il quale l’ideologia neoliberale aveva conquistato il mondo dopo il crollo del comunismo è andato in pezzi. I profeti del mercato non predicavano semplicemente l’economia di mercato, ma promettevano il socialismo migliore. Questa visione così ambiziosa dell’ego-capitalismo sopravvive soltanto nei circoli degli incrollabili fondamentalisti del mercato. E anche qui non è più così monolitica, come dimostrano i recenti contrasti tra i repubblicani negli Usa, alcuni dei quali si stanno convertendo a una regolazione statale dei mercati finanziari. Il rischio sempre più palpabile del crollo ha anche ridestato il sogno di una nuova Europa. “Unione bancaria” è una delle parole di speranza. L’idea-guida si basa sull’assunto che la catastrofe anticipata comporti l’imperativo cosmopolitico: applica regole internazionali, cambia l’ordine esistente del politico! Ovunque sono all’opera rivoluzionari part-time che lavorano in questa direzione – mi limito a citare Mario Monti, impegnato nel far cambiare rotta alla Banca centrale europea.
Viviamo in un’epoca nella quale è accaduto qualcosa di inimmaginabile fino a poco tempo fa, ossia che i fondamenti del capitalismo globale allora “razionale” ma adesso “irrazionale” siano diventati sempre più politici, cioè problematici, cioè politicamente configurabili. Esistono versioni radicalmente differenti del futuro dell’Occidente, dove ormai è in corso quasi una guerra fredda interna: da un lato c’è chi vuole un capitalismo regolabile, che cerca il compromesso con i movimenti sociali ed è aperto alle questioni ambientali e dall’altro c’è chi punta sull’autoregolazione dell’ego-capitalismo globalizzato e su un’intensificazione degli interventi militari, nel tentativo di creare la coesione nazionale mediante schemi amico-nemico – questo è il nocciolo del conflitto.
I rischi globali sono una sorta di memoria collettiva forzata – del fatto che il potenziale di annientamento a cui siamo esposti reca in sé le nostre scelte e i nostri errori. Essi compenetrano ogni ambito della vita, ma nello stesso tempo dischiudono nuove opportunità per riorganizzare il mondo. Questo è il paradosso dell’incoraggiamento che viene dai rischi globali. Qui sta l’opzione europea: nel porre sistematicamente la questione dell’alternativa all’ego-capitalismo digitale. Ossia la questione di come siano possibili una maggiore libertà, una maggiore sicurezza sociale e una maggiore democrazia grazie a un’altra Europa.

Nessun commento:

Posta un commento