mercoledì 27 febbraio 2013

Il welfare delle lettere


Volumi ai bambini, biblioteche, soldi agli scrittori. Ecco come si muove l'Europa.

Sebastiano Triulzi

"La Repubblica", 26 febbraio 2013

Appena nata la piccola Amy MacDonald di Edimburgo riceve un pacco con due libricini cartonati, un cd e una guida che spiega ai suoi genitori quanto è importante leggere al proprio bambino. Ne riceverà un altro al compimento dei diciotto mesi, poi a tre anni e infine a cinque, nelle fasi cruciali del suo sviluppo. Oltre a quella di Amy, altre 240mila famiglie in Scozia ricevono questi doni: il mittente è lo Scottish Book Trust, una fondazione che gestisce tre milioni di sterline l’anno e che ha in piedi oltre trenta progetti simili. Spostandoci di qualche centinaio di chilometri, a Manchester ad esempio, nella casa dove muove i suo primi passi William Smith, apprendiamo che durante la visita dell’assistente sanitario a domicilio questi gli ha consegnato una borsa viola con matite colorate, libri e una sterlina per comprarne uno in libreria. Lo stesso accade ad altri tre milioni di bambini in Inghilterra, per tre volte fino ai quattro anni: il programma è gestito dal Book Trust inglese e fa parte di un disegno mirato a sviluppare l’amore per le storie e per la poesia.
Nel resto d’Europa cambia il nome di queste iniziative, non il senso: è così in Germania, dove l’invio di kit con libri si chiama Lesestart (“Iniziare a leggere”); è così in Svezia, dove 4 milioni e mezzo di euro vengono destinati alla promozione della lettura, soprattutto con finanziamenti alle biblioteche dei bambini. Questo tipo di strategia in Italia non esiste. Ci sono sì progetti, affidati però a iniziative di qualche regione virtuosa, associazioni, università o docenti di scuola, ma manca un centro che pianifichi, che abbia chiari direzione e fini da perseguire. La promozione della lettura in Europa, determinata dal calo dei lettori, è solo uno degli architrave del welfare per la cultura, verso cui s’è levata qualche voce critica (Marc Fumaroli per la Francia o gli autori di Kulturinfarkt, edito da Marsilio), ma la sostanza è che accanto al finanziamento del sistema educativo o di istituzioni artistiche si cerca di creare condizioni favorevoli alla fioritura delle arti. Gli esempi sono molteplici.
L’1 per cento del Pil della Norvegia è destinato alla pittura, alla musica e alla letteratura, e dal conteggio sono escluse università e scuola: spinto dalla necessità di difendere una lingua parlata da cinque milioni di persone, lo Stato stipendia i suoi scrittori per tre o cinque anni (23mila euro all’anno) e compra mille copie di ogni prima edizione e cinquecento di quelle per bambini. In questo modo sottrae gli autori alle logiche commerciali del mercato, lasciandoli liberi di sperimentare. L’Olanda è invece terra di fondazioni che ogni anno devono rendere conto dei soldi spesi e ogni quattro presentare un piano per la cultura: oltre all’art. 22 della Costituzione, che sancisce il sostegno alla cultura, si devono attenere al “principio di Thorbecke”, un padre fondatore della nazione, secondo cui «il governo non è giudice della scienza né dell’arte». Per il 2013 i finanziamenti alla cultura ammonteranno a 700 milioni di euro, duecento in meno rispetto al passato: poco più di una decina vanno alla fondazione per la letteratura che fornisce sussidi per scrivere romanzi e poesie, oltre che per traduzioni. Ne hanno beneficiato anche Tommy Wieringa, Gerbrand Bakker o Kader Abdolah: la borsa arriva a ventimila euro per chi la richiede la prima volta, fino a cinquantamila se sta già alla terza domanda e se si prevede che il lavoro durerà quattro o cinque anni. Il successo di vendite non è un parametro per l’erogazione dei fondi.
A livello europeo, l’Olanda occupa il terzo posto tra i Paesi che leggono di più dopo la Germania e la Finlandia: nonostante questo dato tra il 2012 e il 2015 circa 20 milioni di euro verranno utilizzati in Germania per l’istruzione di base degli adulti. Il bilancio federale tedesco per la cultura aumenterà ancora quest’anno, nell’ordine dell’8 per cento, superando di gran lunga i 10 miliardi di euro, per un settore che impiega 950mila persone fatturando 135 miliardi l’anno. I soldi agli scrittori e agli artisti non sono considerati un sussidio bensì un investimento: nei prossimi cinque anni 380 milioni di euro serviranno a sostenere le discipline umanistiche, e a parte sono da considerarsi spese come quelle per le competizioni tra i giovani studenti o per la promozione del talento individuale.
Accanto all’opera delle fondazioni in Germania esiste anche una assicurazione sociale per chi vuole vivere scrivendo, che garantisce una pensione, l’assistenza sanitaria gratuita e un reddito individuale minimo: i contributi sono pagati in gran parte sia dal governo federale che dagli stessi artisti, per cui l’industria culturale ha un beneficio nell’assumere scrittori e giornalisti.
Il regime fiscale è ancor più vantaggioso in Francia per i datori di lavoro degli autori iscritti all’Agessa (Association pour la gestion de la sécurité sociale des auteurs), la quale assicura protezione sociale e sanitaria. Enti, comuni e dipartimenti francesi erogano poi borse di residenza, per periodi limitati ma quasi mai inferiori ai 2.000 euro al mese, legati a progetti di ricerca o di scrittura: per quest’anno il budget annuale del ministero della Cultura, che si aggira sui 2 miliardi e mezzo di euro e del quale non fa parte l’Educazione, verrà tuttavia decurtato di un 4,5 per cento. In Danimarca il sostegno pubblico agli scrittori raggiunge la cifra di 6,6 milioni di euro, un sostanzioso obolo viene prelevato dalle scommesse sportive e dalla lotteria nazionale: il primo parametro per potervi accedere è l’aver pubblicato senza autofinanziarsi. Gli autori considerati di valore nazionale percepiscono uno stipendio per tutta la vita.
Una delle sovvenzioni più efficaci passa attraverso le biblioteche, o con l’acquisizione di volumi (la Danimarca versa 23 milioni l’anno), o calcolando le remunerazioni in base al numero di volte in cui i libri vengono presi in prestito (in Svezia c’è un fondo apposito, in Francia il Centre National du Livre). Un altro aiuto è ampliare la base di possibili lettori stanziando soldi per le traduzioni all’estero: case editrici come Iperborea, Guanda o Einaudi (e tante altre), si sono avvalse di tale appoggio, collaborando non solo con danesi o olandesi ma anche di recente con i rumeni. Il Kulturradet svedese accetta ogni anno 130 domande con la richiesta di contributi, per un esborso di tre milioni di corone (circa 350 mila euro): le priorità sono l’introduzione di un autore in un nuovo mercato e l’aiuto ai più giovani. Questo sistema è a monte, ad esempio, del successo dei giallisti svedesi in Europa.
Le buone pratiche sono figlie di solito della creatività: con i suoi 60 milioni di euro, in aumento rispetto al 2012, l’Arts Council irlandese dà vita a programmi tradizionali, quali seminari e letture in carcere (pagati fino a mille euro), viaggi professionali o residenze all’estero (ottomila euro); e ad altri più funzionali, quali la formazione del personale delle organizzazioni artistiche o stipendi a breve termine (15 mila euro l’anno) per poter pensare e impegnarsi nel lavoro di scrittura. Lo Scottish Book Trust organizza con la Bbc un programma televisivo sui libri che viene trasmesso in streaming nelle scuole ed è stato visto da 400mila bambini; mentre ai giovani autori scozzesi viene offerto un supporto economico di 2.000 sterline e la possibilità di trascorrere nove mesi con uno scrittore famoso, per apprendere i ferri del mestiere come una volta accadeva nelle botteghe dei pittori.
Già da dieci anni Literature Wales guida un progetto formativo che seleziona squadre di giovani scrittori e li manda a lezione da autori riconosciuti e insegnanti di scrittura creativa; il più interessante tra i programmi gallesi vede coinvolti poeti, rapper, romanzieri e musicisti che lavorano con ragazzi provenienti da aree disagiate (Swansea, Rhyl, Cardiff, Wrexham). L’aiuto agli scrittori in erba o ai lettori avviene anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie: chi vuole può chiedere per qualche mese consigli a Matt Haig, che risponde e posta messaggi sul blog del sito del Book Trust inglese. Mentre in Italia si discute se debba esserci o meno un ministero della Cultura, senza toccare il problema di fondo, cioè che sia garantito un egualitario diritto alla cultura, in una parte d’Europa la creatività, la diversità o la qualità artistica vengono considerate parte integrante dello sviluppo della società.

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