Claudio Strinati
"La Repubblica", 6 aprile 2013
L’arrivo a Siena, nella cripta dal Duomo, da 17 aprile al 18 agosto, del cosiddetto San Giovannino della Pinacoteca Capitolina di Roma, ha un senso profondo perché tra Siena e il Caravaggio c’è un legame. Fu infatti un senese illustre, il medico Giulio Mancini, il primo in assoluto a scrivere la biografia di Michelangelo Merisi, da lui conosciuto personalmente. Mancini ha costruito l’immagine del Caravaggio che ancora domina la mente dei suoi estimatori e dei suoi detrattori. Ne racconta la giovinezza povera e disperata, ne mette in evidenza il carattere violento, intrattabile, iracondo, e spiega come questo mezzo matto avesse però inventato uno stile nuovissimo e incomparabile. Giulio Mancini fu clinico illustre e medico personale del papa Paolo V Borghese, zio di quel cardinale Scipione che del Caravaggio era stato ammiratore e nemico. Mancini ebbe in cura il Caravaggio all’Ospedale della Consolazione dove il Merisi fu ricoverato a seguito di un incidente. Forse in quell’occasione divennero amici e lo rimasero poi sempre.
Il San Giovannino fu dipinto dal Caravaggio presumibilmente proprio al tempo dell’incontro col Mancini. Rimase poi misconosciuto fino al 1953 quando Sir Denis Mahon, uno dei più grandi storici dell’arte del secolo scorso, lo riscoprì seminascosto nell’ufficio del Sindaco di Roma. È un capolavoro, bellissimo, carico di materia luminosa e tersa (oggi ben percepibile grazie a un magistrale intervento di restauro di Nicola Salini sotto la guida di Sergio Guarino), perfettamente a proprio agio, sorridente in atteggiamento di sfida chiara e esplicita, all’epoca e ancora oggi. Si ritiene che sia identificabile con un San Giovannino dipinto nel 1602 per il duca Ciriaco Mattei, riscontrando una serie di citazioni di un quadro di tale argomento negli antichi inventari. Ma il Caravaggio non sarebbe Caravaggio se non ci fosse sempre qualche mistero, dubbio o errore gigantesco dietro alle sue opere.
Che il quadro sia suo, non ci piove. Ma è veramente un San Giovannino?
L’esperto inglese Clovis Whitfield ha sostenuto che il soggetto di questo quadro sia, invece, un personaggio mitologico di cui parlano Teocrito, Virgilio e Ovidio, il pastore Coridone, perdutamente innamorato del suo compagno Alexis. In Ovidio Coridone salva la vita all’amico Batto estraendo dal suo piede una spina velenosa che lo avrebbe portato alla morte, delicata storia di amori omosessuali dall’antichità greca. Che il personaggio effigiato dal Caravaggio non abbia alcun carattere di santo sembra esplicito. C’è, poi, chi lo ha creduto un Isacco che sorride contento per essere scampato alla morte. San Giovanni Battista non ha l’ariete come suo attributo e invece nel quadro si vede un bel montone con tanto di corna, simbolo del primo segno zodiacale quando il mondo entra nella primavera di marzo. Quel che conta è che il personaggio sorride beato. Potrebbe essere un simbolo di vita, dunque, che si risveglia, di amore lieto, “gay”, come si dice oggi e si adombrava, a quanto pare, anche qualche tempo fa.
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