IRENE BIGNARDI
"La Repubblica", 14 aprile 2013
"Era un dominatore. Ti dava sempre l'impressione di essere il tuo miglior amico. Aveva uno spaventoso bisogno dell' attenzione di tutti e, bisogna dirlo, gliela davano. Era un maestro nell'arte dell' adulazione, con cui dominava il suo gruppo, e era anche un critico ferocissimo... Ma soprattutto ti cuciva addosso un personaggio che non riuscivi più a toglierti. ...A Sally Bowles ha rovinato la vita».
Così Stephen Spender (poeta, testimone del secolo) mi descriveva, in un' intervista a Londra, venti anni fa, il personaggio Christopher Isherwood. Un trentenne molto carino, colori chiari, classe innata, buoni studi, simpatie omosessuali, che nel 1929 era approdato alla folle Berlino prehitleriana, e ci era vissuto fino al 1933, quando la brutalità del nazismo si era dispiegata in tutta la sua potenziale violenza. Abitando a Schoeneberg, a Nollendorfstrasse in vecchie cadenti topaie di antico splendore condivise con altri eccentrici, sempre in amena compagnia, sempre frequentando i caffè o i cabaret del momento, e i ragazzacci disponibili. Sono gli anni che Herr Isservut, come lo chiamava Fraulein Schroeder, la sua povera padrona di casa, racconta in una sorta di zibaldone berlinese, una passerella di personaggi che si trovano, si perdono, si ritrovano, in Addio a Berlino (in uscita ora da Adelphi, traduzione di Laura Noulian). Raccontò Isherwood nella prefazione all'edizione americana del 1954 che il suo progetto era di chiamare il libro The Lost, o Die Verlorene, per via dei suoi personaggi, anime perse alla deriva nella grande città, e di farne un melodramma alla Balzac. Ma troppi erano i personaggi perché riuscisse a inserirli bene nell'arazzo di un romanzo. The Lost, grazie al cielo, rimase una cronaca, e dal magma di storie nacque Addio a Berlino come lo conosciamo. Che è un libro dalla curiosa struttura, diviso in due parti legate dal filo comune dell' idea della capitale tedesca: Mr Norris se ne va (pubblicato nel 1993 da Einaudi), e il propriamente detto Addio a Berlino: una sorta di diario scandito in più frammenti degli anni berlinesi di Herr Isservud, con gli amici, pochi amanti, pochi soldi. Con una città che sembra sul punto di esplodere, e un personaggio formidabile, Sally Bowles: tutto e il contrario di tutto, e dunque un po' puttana, un po' ragazza libera, allegra e malinconica, bugiarda e sincera fino allo spasimo, leale e traditrice, elegante e cafonissima. Ma grande. Un personaggio che infatti ispirò la commedia I am a Camera, scritta da John Van Ruten nel 1951 e poi diventata lo sfortunato film di Henry Cornelius con Julie Harris (che era stata in scena anche a Broadway) nel ruolo di Sally, e Lawrence Harvey in quello di Herr Isservut. Concludendo poi la sua trionfale carriera come protagonista di Cabaret, il film di Bob Fosse che avrebbe fissato nella moderna mitologia la Sally Bowles di Liza Minnelli, la star del Kit Kat, la ragazza con la bombetta e le calze nere che canta Money makes the world go round e Come to the Cabaret old Chum e attraverso cui è inevitabile rileggere Addio a Berlino, mentre personaggi di primo piano spariscono e riaffiorano, ridotti a comparse in I Nowak, i due Diario berlinese, Sull'isola di Rugen, I Landauer.
Anche a sé, al narratore, Isherwood riserva un posto in l o g g i o n e : « C h r i s t o p h e r Isherwood», scrive in terza persona «è solo il comodo fantoccio di un ventriloquo». Dice anche di più: «Io sono una macchina fotografica con l'obiettivo aperto, completamente passiva, che registra e non pensa... Un giorno tutto questo andrà sviluppato, stampato con cura, fissato». E invece pensa, Mr Isherwood, nell' apparente ironico distacco, nel continuo brusio di voci che raccontano pettegolezzi, nel rumore bianco di storie e storielle. Chi ci piace di più? La Sally Bowles letteraria del libro berlinese? O quella dello schermo? Ci hanno insegnato che «il cinema è la vita senza le parti noiose». Nella cronaca della vita quotidiana a Berlino secondo Herr Isservut ogni tanto il personaggio di Sally e il suo mondo sonnecchiano. La trama narrativa è composta di piccoli, volatili episodi. Mentre la storia attorno a Sally nel film è più compiuta. Per il resto, Sally è la folle ragazza che conosciamo dal film. Che si fa piantare dopo una sola notte. Che resta incinta. Che se ne frega. Che nega l'evidente. Che è ombrosa, permalosa, imprudente. «Un essere grottesco, con il vocabolario e mentalità di una dodicenne», sintetizza l' autore. Mi raccontava ancora Spender che Sally si chiamava in realtà Jean Ross, e che il personaggio cresciutole addosso la costringeva a comportarsi come il modello letterario. «Crescendo è diventata una militante comunista, ma non è più stata presa sul serio, perché tutti la consideravano solo alla luce delle Sally costruita da Isherwood». Gli intrecci tra la realtà e l' invenzione sono complessi. Nessuno è "una camera", come sanno bene i sociologi che fanno molta attenzione a non inquinare con se stessi il terreno del loro esperimento. Isherwood sta ai margini, forse non abbastanza. Ma ci regala un personaggio che ha la grandezza della leggenda.
La bibliografia italiana di C. Isherwood: CLICCA QUI.
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