Paolo Mauri
"La Repubblica", 16 aprile 2013
Una volta a certi scrittori piaceva seminare zizzania e lavorare per mettere in crisi il loro stesso strumento di lavoro: le parole o almeno il modo tradizionale di intenderle. Invece di accontentare e blandire i lettori-consumatori cercavano di turbarli almeno un po' o di dis/turbarli, magari con uno sberleffo. Luigi Malerba ha sempre sorpreso i suoi lettori fin dai tempi della Scoperta dell'alfabeto, la raccolta di racconti con cui esordì nel ' 63.
Proprio intorno a quegli anni Malerba cominciò a scrivere anche per il teatro e soprattutto per la radio e per la televisione. Si tratta di lavori dispersi e dunque introvabili e ha fatto bene Luca Archibugi a raccogliere quel che c' è in un libro pubblicato da Manni, intitolato Ai poeti non si spara che è poi il titolo di un originale televisivo del 1965. La prima pièce, molto breve, si intitola Qualcosa di grave, risale al ' 63, e mette in scena la vicenda paradossale di due attori (un uomo sulla quarantina e una donna un po' più giovane) che si sono dimenticati la loro battuta più felice, quella con cui incantavano il pubblico: anzi lo facevano ridere e piangere, perché la battuta era una sorta di passepartout, una chiave universale che andava bene per la tragedia e per la commedia. Senza quella battuta i due attori rischiano la fame.
Ancora più paradossale è la ricerca di Anselmo e Lucilla in Babele (1965) i quali sono ormai incapaci di costruire una frase e se parlano raccontando i loro sforzi è per pura convenzione (Sul Caffè in quello stesso anno Malerba aveva scritto che le parole bisogna prenderle a tradimento, all' improvviso). A rigor di logica i due protagonisti dovrebbero esprimersi con dei muggiti, ma così non potrebbero mettere a parte gli spettatori del loro dramma. «Pare», dice Lucilla, «che un tempo gli uomini costruissero le frasi anche camminando per la strada, mangiando, senza pensarci prima, con abilità diabolica».
Ecco, se c' è un tratto comune nel teatro di Malerba, cui piace lavorare con l' assurdo, è la condizione di pericolo in cui versa l' umanità e la sua capacità di comunicare: gli attori perdono la battuta, la coppia di Babele perde addirittura il linguaggio. Ma in Ossido di carbonio una coppia in macchina ha addirittura smarrito improvvisamente la memoria e non sa più da dove viene e dove va sicché imbocca gallerie in autostrada che minacciano di non finire mai, mentre in Stazione zero si ha subito l' impressione di trovarsi in un luogo molto infido e difficile da definire, salvo che ogni tanto qualcuno precipita come nel vuoto urlando. E' uno dei rari casi in cui Malerba fa posto all'angoscia. I personaggi qui non hanno nome e vivono in una sorta di limbo che, si saprà poi, è la zona del coma, dal quale non tutti riemergono.
Ai poeti non si spara tocca invece in particolare il tema della concorrenza tra le macchine e l' uomo: qui il robot Gordon viene ingaggiato da una ditta che produce formaggini per sapere come mai le vendite calano. Con sgomento dei dirigenti Gordon propone di assaggiare i formaggini e si scopre che nessuno di loro li mangia mai: alla prova dei fatti i formaggini risultano pessimi. Ma Gordon ha mille altre qualità e tra queste il fatto di saper scrivere poesie, il che scatena la rivalità del capufficio Leonetti, poeta incompreso e inedito, ma convinto che la poesia sia una faccenda da uomini e non da macchine. Intanto il presidente cerca di interrogare Gordon sull' immortalità dell' anima.
Il tema della concorrenza tra robot e uomo la si troverà ben rappresentata poco tempo dopo in 2001 Odissea nello spazio di Kubrick dove il cervello Hall impazzisce e tocca agli uomini disinserirlo per evitare che uccida tutti, ma si tratta di un tema diffuso in quegli anni che vedono i primi elaboratori elettronici di serie "ragionare" facendo calcoli molto complessi nel giro di pochi secondi. Sarà, proprio allora, un poeta sperimentale come Nanni Balestrini ad usare il calcolatore elettronicoa schede per produrre poesia.
La produzione teatrale di Malerba guarda naturalmente a Beckett e Ionesco, ma già con l' impronta originale che ritroveremo nelle opere di narrativa. Cultore di paradossi, Malerba mette in scena un recipiente grande di dentro e piccolo di fuori che si ritrova anche nelle Rose imperiali, libro di racconti ambientati nell'antica Cina, e in Mozziconi. Un' invenzione molto utile, che però nessuno si è dato la pena di fabbricare. E se fosse una metafora che riguarda le parole?
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