mercoledì 24 aprile 2013

Sulle ali dell'amore impossibile


Tirante, l'eroe che riuscì ad avere tutto eccetto la sua principessa 

CESARE SEGRE,

"Corriere della Sera", 23 aprile 2013 

La letteratura cavalleresca si aggancia alla storia (per esempio, nella leggenda di Roncisvalle, alla spedizione di Carlo Magno in Spagna), ma se ne stacca velocemente, portandosi nelle aree del fantastico; il romanzo cavalleresco, che ne è l'ultimo prodotto, atterra in piena storia (o controstoria). Alludo in particolare al famoso Tirant lo Blanc, capolavoro della letteratura catalana, scritto fra il 1460 e il 1465, ma pubblicato solo nel 1490. L'opera è stata finalmente tradotta da Paolo Cherchi, eccellente filologo e storico della letteratura, che le ha premesso un'approfondita introduzione (Joanot Martorell, Tirante il Bianco, a cura di Paolo Cherchi, Einaudi). L'autore, il valenziano Joanot Martorell, di cui sappiamo pochissimo, salvo che nacque nel 1411 e che era arrogante e prepotente, fa centro sulla guerra fra greci (cristiani) e musulmani per il possesso di Costantinopoli (ora Istanbul). E il suo eroe, Tirant, che naturalmente è brettone (la patria della narrativa fantastica), dopo un soggiorno d'istruzione in Inghilterra, diventa famoso, e passa il resto della propria vita fra Sicilia e Rodi, e soprattutto a Costantinopoli, non senza escursioni in Africa. Tirant giunge al culmine del potere e viene proclamato imperatore d'Oriente, quando d'improvviso muore prima dell'incoronazione. Come c'è da aspettarsi, l'elemento guerresco domina l'opera, nel senso che Tirant è un grande condottiero, maestro anche di strategia, di tattiche innovative e di artifici bellici. Il poema è una controstoria: dato che qualche anno prima della stesura, nel 1453, Costantinopoli era caduta nelle mani di Maometto II, ed è tuttora turca.
Il lettore moderno può certo godere, data la loro varietà, di tante imprese per terra e per mare, e di tanta, più ostentata che partecipata, ispirazione religiosa; la quale del resto costituisce una riverniciatura molto meno forte di quanto non sia l'elemento basilare, quello cavalleresco. Bisogna poi dire che Tirant è molto più realista degli eroi di narrazioni affini, come l'Amadigi di Gaula: ogni azione di guerra ha le sue caratteristiche, e non esclude variazioni comiche o romanzesche. L'eroe stesso incorre volentieri in piccoli e grandi incidenti, che lo umanizzano. Vi sono anche inserti novellistici, come la macchinazione della «Vedova riposata», che ama segretamente Tirant, per far apparire l'eroe infedele alla sua Carmesina. Una storia tragica, perché la vedova, fallito l'inganno, si suiciderà, e l'esecutore materiale dell'inganno viene immediatamente ucciso da Tirant. 
Va notato che ci troviamo molto spesso in palazzi che nei loro ambienti chiusi ospitano gli accadimenti come in un teatro. Qui l'uso della parola è fondamentale, e avvengono strane convergenze: un discorso scritto, messaggio, proclama, viene poi pronunciato diventando verbale, e vien fatto oggetto a sua volta di commenti e confutazioni; e se la scrittura è occasione per raffinatezze espressive, bisogna dire che altri linguaggi vengono sollecitati, come i colori degli stendardi e delle vesti, o i significati numerici, realizzando una serie raffinata di simbolismi. Un universo di segni circonda i personaggi.
E interi capitoli sono occupati dalla narrazione di imprese legate al romanzo ma chiuse, per così dire, in una finestra; con un distanziamento che troviamo anche nelle reazioni immediate. Quando la figlia dell'imperatore d'Oriente, Carmesina, che tutti sanno innamorata di Tirant, domanda all'eroe se davvero ama lei e non un'altra, la risposta non è un'affermazione, ma l'invito alla donna a guardare nello specchio che le ha regalato: Carmesina, vedendo la propria immagine, ne dedurrà un «sì». E un intrigante gioco di società può essere l'invio, senza mittente né destinatario, di messaggi di argomento intimo. Quelli che ne sono toccati capiranno, gli altri no, o cercheranno maliziosamente di capire.
L'amore è un tema dominante in questo ambiente di regalità domestica. E l'autore ha seguito un doppio percorso: quello dell'amore trovadorico, che gode della propria irraggiungibilità, e quello dell'amore romanzesco, gioiosamente carnale. Carmesina rappresenta l'amore trobadorico, e continua a negarsi a Tirant, salvo precise e un po' viziose deroghe: a negarsi sino al matrimonio, poco prima della morte di questi eroi della castità. Ma bisogna anche dire che Tirant non appare molto focoso, e l'amore insoddisfatto diventa un filo di tutta la narrazione, pur fitta per il resto di amori e amorazzi. In cambio, tutta la corte ascolterà le grida di voluttà del loro primo, parziale amplesso, con conseguenze da pochade
Quanto al percorso romanzesco, si nota che esso è favorito dalla promiscuità del costume quattrocentesco. Quattro o più persone dormono nella stessa camera, in letti chiusi solo da drappi, e così può accadere che Piacerdimiavita additi le bellezze di Carmesina nuda a Tirant, o che due coppie, una «naturalistica» (Diafebo e Stefania), l'altra «trobadorica» (Tirant e Carmesina), si dilettino a poca distanza, e con diverso godimento, sotto gli occhi di chi è in qualche modo partecipe della situazione. Sono, e per conseguenza diventiamo tutti, un po' voyeur.
L'abbondanza di messaggi diretti e indiretti o riferiti rientra nel fatto che l'autore, nel suo raccontare, svolge anche opera pedagogica, citando o evocando opere classiche e medievali, in particolare Petrarca, ricordando personaggi famosi della precedente letteratura, e insomma facendo convergere sul suo libro tutta la cultura precedente. Con un procedimento già usato in romanzi precedenti, si arriva a descrivere le pitture del palazzo imperiale di Costantinopoli, quasi enciclopedia del narrabile. Le belle illustrazioni del nostro volume, tratte da pitture e miniature coeve, aiutano a entrare nello spirito del libro. Quanto alle vicende dell'opera, abbiamo notizie contraddittorie su tale Martín Joan de Galba, che, secondo il colophon, avrebbe terminato l'opera di Martorell; ma quale sia il suo contributo non è detto. Ci si racconta poi, sempre nel colophon, che il Tirant sarebbe stato scritto in inglese, poi tradotto in portoghese, e infine in catalano (valenziano). Trafile che il Medioevo spesso ci ammannisce per aumentare il valore di opere molto meno esotiche. Tutto dice che il Tirant è stato scritto in catalano, e anzi costituisce un capolavoro di quella lingua. Quanto a Joan de Galba, Cherchi ha lasciato che il suo nome si perda fra le nebbie.
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