giovedì 11 aprile 2013

Eco & Pamuk. Se Il nome della rosa è rosso. Dialogo sul "romanzo naif"


Marco Ansaldo

"La Repubblica", 10 aprile 2013

Si ammirano, hanno letto l’uno i libri dell’altro, ma non si sono mai incontrati. Umberto Eco e Orhan Pamuk sono apparsi per la prima volta insieme ieri pomeriggio a Istanbul per i 150 anni dell’Università del Bosforo, una delle più belle della metropoli turca, con un affaccio a strapiombo sullo Stretto e tanto verde intorno. Tema del dialogo: “Fatti, fiction, storia”. L’autore de Il nome della rosa e quello di Il mio nome è rosso hanno svariati punti in comune. Usano spesso argomenti simili. Sono entrambi grandi collezionisti: l’italiano di volumi antichi, il turco di oggetti del recente passato. La bella aula magna in legno è strapiena con posti prenotati da mesi.
Pamuk: «Nel mio libro Romanzieri ingenui e sentimentali parlo di Schiller che voleva essere un autore naturale e ingenuo insieme, ma era geloso di Goethe che era piuttosto naïf. Ho riflettuto molto su questo. È come guidare un’auto: tu non pensi a mettere la prima o la seconda marcia, non dici ora passo alla quarta. Ecco, noi oggi scriviamo i romanzi in entrambi i modi: da una parte con naturalezza, dall’altra con calcolo. E così dovrebbe essere per i lettori: si può leggere un libro senza porsi domande, ma anche studiando ogni frase con accanimento».
Eco: «Io come omaggio a Istanbul e al Pera Palace, voglio ricordare il libro di Agatha Christie dove il lettore non riesce a trovare chi è l’assassino. E alla fine si scopre che l’assassino è chi ha scritto il romanzo. Lo scrittore dunque sostiene: io non ho detto bugie, ho scritto chi è l’assassino, siete voi che siete disattenti. Ecco, a quel punto il lettore sale al secondo livello e si concentra su come la storia è stata scritta e si evolve. Poi, perché noi piangiamo per un personaggio che non è reale? La morte di Anna Karenina, ad esempio, fa piangere». 
Pamuk: «Su Anna Karenina non siamo infelici che alla fine muoia...».
Eco: «C’è naturalmente il lettore che ammira come lo scrittore è riuscito a costruire la storia di Anna Karenina, e dice: “Ah, guardate come piangono questi lettori”. Ma la storia si può leggere anche in un altro modo». 
Pamuk:«Ci sono quelli che si ritengono lettori sofisticati, e prendono in giro quelli che piangono per la morte di Anna. Perché quando leggiamo un romanzo noi siamo pieni di emozioni. Pensiamo: che bella questa vicenda, che cosa dice questo libro, ma che cosa ha scritto qui Umberto Eco? La nostra mente è capace di sviluppare questi sentimenti simultaneamente. Io sostengo che il potere nell’arte del romanzo è basato su questa particolarità unica: il fatto di generare negli esseri umani sentimenti che possono anche contraddirsi».
Eco: «Siccome io sono convinto che la maggior parte della gente nel mondo sia stupida (risate), in questo momento della mia vita penso che lo sia il 50 per cento. Quando arriverò a pensare che lo sia il 100, allora morirò… (risate). Sì, c’è chi legge un libro, o guarda un film solo sotto il profilo estetico. Ma devo dire che ho anche degli amici normalmente molto cinici, che però alla fine del Cyrano de Bergerac sono capaci di scoppiare in lacrime. Dunque c’è pure l’alto livello che è stupido, oltre al basso livello che quando ha trovato l’assassino è felice e basta».
Pamuk: «Ma Umberto, ti confesso che io a volte leggo romanzi per sentirmi stupido…. Il mio Kemal del Museo dell’innocenza è un personaggio artificiale. Però i lettori credono quasi che esista, oppure pensano che sia un carattere autobiografico. Non è così, ma io lo lascio credere».
Eco: «Il lettore esteta e sofisticato di solito è attento alla struttura tecnica».
Pamuk: «Guardiamo lo sviluppo dell’arte del romanzo da Balzac e Dickens in poi, negli ultimi 160 anni. Come insegno ai miei studenti alla Columbia University di New York, Henry James dice: io ho una storia, da quale punto di vista devo raccontarla? Ecco, nel mio libro Il mio nome è rosso ho raccontato il punto di vista dei personaggi. E questa è una questione cruciale, sotto il profilo tecnico. Poi gli autori sono specialisti nel mettere dettagli autobiografici. Oppure facciamo del nostro meglio per inserire cliché che non ci appartengono: su sesso, cultura, carattere, e così via».
Eco: «Sia Orhan sia io veniamo percepiti come autori postmoderni. Perché questo indica che i pensieri vengono sviluppati da diversi punti di vista. La letteratura postmoderna parte dall’Ulisse di Joyce dove ci sono 18 punti di vista diversi. Lo scrittore, con un’esagerazione narcisistica, può includere se stesso come personaggio. Se ripenso a una mia intrusione metanarrativa è stato quando ho scritto l’Isola del giorno prima, dove i personaggi parlavano in modo barocco. Ma realizzarlo era difficile, io non amo i personaggi barocchi e allora mi scusavo di continuo con i lettori, con un’interazione fra me e loro».
Pamuk: «Prendiamo Zola. Diciamo che un tempo i romanzi erano scritti per il popolo, oggi lo sono spesso per gente di buon livello. Così noi autori naïf non scriviamo romanzi rosa, ma più complessi. E il romanzo storico non deve essere per forza reale, può essere anche artificiale. Bertolt Brecht ce lo ha insegnato. Io sono come un mago, confondo le vostre menti. Anche Umberto fa questo, e penso che scriva ottimi romanzi storici».
Eco: « Il nome della rosa e Baudolino sono romanzi storici. Perché? Perché probabilmente non voglio entrare in cose troppo personali, non mi piace partecipare a livello sentimentale. Io non posso scrivere romanzi d’amore perché preferisco non riferirmi a cose private, e parlare ad esempio di Napoleone».
Pamuk: «Ma Umberto, tu puoi usare la fiction come fosse uno scudo. Hemingway è così bravo a descrivere quando beve un caffè, oppure quando una mattina di primavera sente l’odore della pioggia. Anche quando scrivi un romanzo storico scrivi di te stesso perché è la tua firma che ti dichiara».
Eco: «Va bene, un giorno mi hanno chiesto quale fosse l’elemento più autobiografico del mio libro, e io ho risposto: gli avverbi. Parliamo ora delle liste degli oggetti in un romanzo. In Omero c’è lo scudo di Achille che simboleggia la sua grandezza. Ma è importante anche la musicalità. Io penso che uno possa scrivere seguendola, come il riff nel jazz».
Pamuk: «Sulle liste degli oggetti questo deriva dall’istruzione, perché noi siamo abituati fin da bambini a ricordare i nomi delle città, delle squadre di calcio, degli attori. Le liste sono essenziali per i narratori. Ma poi c’è una motivazione personale, umana e poetica, almeno in me, per gli oggetti che ho collezionato nel Museo dell’innocenza. Questo ha a che fare con il desiderio di possedere e controllare il mondo».
Eco: «Torno al concetto della musica. E ho in mente proprio alcuni passi di un libro di Orhan. Quando scrive, ripetutamente: “A volte. A volte. A volte”. Sono iterazioni volute, basate cioè sulla musica, come nel jazz».
Pamuk: «Posso farti una domanda, Umberto? I miei amici mi dicono che sono paranoico. È vero, dovrei esserlo, perché faccio lo scrittore da più di 35 anni. Voglio dire che spesso, quando scriviamo, aprendo i tentacoli della nostra mente a volte finiamo per identificarci con il lettore, e pensiamo a quello che penserà lui. Allora perché diventiamo paranoici. Come lo spieghi?».
Eco: «Io ho un motto: “Dottore, tutti i paranoici mi perseguitano”. Ecco, io posso dire: sono circondato da paranoici».
Pamuk: «Se mi si domanda perché sono diventato scrittore rispondo che l’ho fatto perché dai 7 ai 22 anni volevo diventare un pittore, e i miei infine dicevano questo ragazzo ha talento. Poi sono andato all’università, ho studiato architettura. E alla fine ho realizzato che non volevo avere gente sopra o sotto di me, e preferivo vivere una vita solitaria. E così mi sono detto: ma perché non fare lo scrittore?».
Eco: «Io per questa cosa ho di solito due risposte. Una imbarazza subito chi fa questa domanda perché replico che c’è chi è pedofilo, c’è chi fa il rapinatore, chi scala le montagne e io scrivo romanzi. L’altra mia risposta prevede il fatto che ogni forma di conoscenza è narrativa. E io l’ho praticata per tutta la vita. E alla fine le mie ricerche le ho scritte come un romanzo».
Pamuk: «Vedo che il tuo maglione rosso è simile alla coperta di questo tavolo. Tu sei interessato ai colori come lo sono io?».
Eco: «Questa è una domanda da paranoico». (Risate).

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