Fallimenti di rango
Il libro del giornalista-scrittore Domenico Quirico sui leader finiti nella polvere
Perché perdere è bello
Da Romolo Augustolo a Gorbaciov fino a Ratzinger,
i grandi vinti hanno avuto un ruolo chiave nella Storia. E ora vengono rivalutati
Giuseppe Sarcina
"Sette - Corriere della Sera", 26 aprile 2013
Che cosa accomuna il re degli Incas, Atahualpa, al segretario del Pcus Michail Gorbaciov o all'imperatore Romolo Augustolo o perfino a Rasputin, il consigliere dell'ultimo zar di Russia? Nulla, se leggiamo la storia, la cronaca o, più semplicemente, la vita, con occhio pigro, accontentandoci delle spiegazioni lineari, senza salti, scivolando sulla superficie. A fine corsa il mondo di ieri e di oggi ci apparirà forse più comprensibile, ma sicuramente meno autentico. Negli anni Sessanta il grande storico Edward H. Carr (per qualche anno anche vicedirettore del Times di Londra) iniziava i suoi corsi spiegando agli studenti di Cambridge che i fatti sono come i pesci nel mare. Sono veri, esistono di per sé. Ma sono tanti e diversi fra loro, sembrano infiniti. La nostra comprensione della storia dipende da quanti e da quali fatti-pesci riusciamo a vedere o a catturare, mentre sicuramente ne ignoriamo la maggior parte. Cercare sempre nuovi "pesci" è un esercizio difficile che richiede dedizione, disponibilità alla fatica e umiltà intellettuale.
Domenico Quirico, 61 anni, è un giornalista-scrittore che consuma suole e libri in eguale quantità. Dalla Libia alla Siria, dall'Egitto al Mali. Appare in giacca e cravatta nel bel mezzo di un tumulto o nelle postazioni dei guerriglieri, magari con una biografia di Cavour sotto braccio. Fruga nelle discariche. Cerca negli scarti della sconfitta le ragioni di una vittoria, di una svolta. Lo fa sui campo, nel suo lavoro di cronista. E lo fa la sera, a tavolino, affidandosi a un linguaggio evocativo e spigoloso (forse, talvolta, un po' troppo). Ha appena scritto un libro che ha titolato Gli ultimi, la magnifica storia dei vinti (editore Neri Pozza). È la raccolta di dieci ritratti, dieci perdenti, dieci curatori fallimentari, dieci "liquidatori". Sono divisi in tre categorie: "i buoni a nulla", "i mistici", "i consapevoli". La natura di una disfatta dice molto sul destino di un popolo. Può essere una fuga, scomposta, umiliante come quella di Dario, l'imperatore degli Achemenidi, l'erede di Ciro il Grande, di fronte alla forza emergente di Alessandro il Macedone. Oppure una lenta, insipida consunzione: la fine anonima, sciatta, dell'impero romano, liquidato, con inconsapevole inerzia, da Romolo Augustolo.
Il racconto di Quirico salta, quasi provocatoriamente, da un secolo all'altro. Lascia i deserti della Persia per piombare tra i mosaici di Ravenna. Corre verso la Città proibita a Pechino dove, nel 1908, l'antica dinastia dei Qing si affloscia con un ultimo atto grottesco, proclamando Imperatore un bambino di tre anni, Pu Yi ("l'ultimo imperatore" del film di Bernardo Bertolucci). Ma il «più buono a nulla di tutti» è Gorbaciov, l'ultimo comunista sovietico li giudizio di Quirico è sferzante: «Molle vaniloquente tortuoso leggerrnente vigliacco, un Erostato deciso a distruggere il Tempio per carrierismo...». L'utopia comunista, il paradigma ideologico sovietico, il gigantismo militare, la sfida di civiltà all'Occidente naufragano miseramente con i gesti, le parole di Gorbaciov («Sono come l'aria e l'acqua, le stringi e non trovi niente»). Lo stato d'animo della Russia di oggi non può prescindere dal fallimento degli Anni 80 della "perestroika", della "glasnost"; da quella tremenda delusione seguita alla catastrofe di Chernobyl del 1986, quando si scopri che anche l'uomo nuovo aveva mentito, nascosto la verità sull'incidente nella centrale nucleare esattamente come avrebbero fatto i vecchi arnesi del dispotismo comunista. La frattura tra il potere e il popolo della nuova Russia, o, più modernamente, tra istituzioni e opinione pubblica, cominciò lì e non si è più ricomposta. La 'Storia dei vinti" può anche insegnare il fascino dell'innocenza, della dignità, valori alternativi ai modelli di solito vincenti. Nel novembre del 1532 il re inca Atahualpa si presentò con pochi uomini disarmati nella cittadina di Cajamarca, rispondendo a un invito del conquistador Francisco Pizarro. Il limpido indio si attendeva un colloquio di pace, si ritrovò nel mezzo di una volgare imboscata.
Fu vittima del suo "misticismo", come lo definisce Quirico, il "misticismo" dì Atahualpa si traduce nell'idea, semplice, primitiva, ma pur sempre eternamente in campo, che le relazioni tra gli uomini possano essere regolate dalla fiducia e non solo dal calcolo.
La scelta di Benedetto XVI. Ci sono sorprese anche nel capitolo dei "liquidatori consapevoli". Il generale Mustafa Kemal Ataturk demolisce nel giro di pochi anni (1920-1^22) la millenaria costruzione ottomana. E un vincitore, è il fondatore dì un nuovo modello (uno Stato laico nel cuore della mezzaluna musulmana). Ma « estirpare il passato», scrive Quirico, «è missione dura e include atti ingrati. I troppo sensibili combino mestiere». E il mestiere del "liquidatore" può consumarsi «tra le montagne calve» dell'Anatolia, oppure tra l'incenso e gli intrighi del Vaticano.
È Benedetto XVI, il papa emerito, "l'ultimo degli ultimi", n teologo più sofisticato, l'intellettuale più raffinalo, alla fine, compie il gesto più istintivo, il più inatteso. Lasciare prima che "la novità" del mondo penetri nelle crepe della Chiesa, «gocciolando, spazzando via questo e quest'altro».
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