La Berlino alla vigilia di Hitler secondo Isherwood:
illusioni e incoscienza danzavano sull'orlo dell'incubo
Giorgio Montefoschi
"Corriere della Sera", 28 aprile 2013
Com'è Berlino nell'autunno del 1930, quando, in cerca di ispirazione e spunti per i romanzi che vorrebbe scrivere, vi approda dall'Inghilterra il giovane protagonista di Addio a Berlino (Adelphi, pp.252), vale a dire il narratore stesso: Christopher Isherwood, alla vigilia della presa del potere da parte di Hitler e del nazismo? Cuore pulsante della Repubblica di Weimar stremata dalla crisi economica e morente, la città circondata dalla pianura prussiana con i suoi laghi e le sue foreste, conserva i segni imperiali nel grande viale fiancheggiato dagli austeri edifici storici in pietra grigia che conduce alla Porta di Brandeburgo, e quelli di una ricchezza ormai sempre più elitaria nei vecchi palazzi che hanno portoni tanto pesanti da dover essere spinti con due mani, o nelle ville dei quartieri residenziali, o in quelle sfarzose e spesso non eleganti sulle rive del Wannsee (nei cui campi da tennis Vladimir Nabokov dava lezioni in pantaloni leggeri di flanella). Ma ha anche quartieri miseri e sordidi, nei quali vive la borghesia che sta andando in rovina, il proletariato affamato che vuole riscossa e vendetta dalle umiliazioni, e guarda al comunismo, o si fa incantare dalle folli idee dell'uomo che da lì a quindici anni trascinerà la Germania nel baratro.
Il giovane aspirante scrittore vive, dando lezioni di inglese, in uno di questi quartieri squallidi. Egli ha una mente «visiva»: è come «una macchina fotografica con l'obiettivo aperto, completamente passiva, che registra e non pensa». Alloggia in una stanza in affitto presso la signora Schroeder insieme a una ex cantante di music hall, una donna di facili costumi che riceve i suoi clienti in camera e lo smunto Bobby, un ragazzo che fa il barman al Troika, un locale frequentato da prostitute, papponi, stranieri in cerca di avventura, gigolò.
La vita nell'appartamento-pensione dotato di un solo bagno, fra litigi, spiate e addirittura dei furti, è soffocante. Finché un giorno, a rischiararla, piombata da chissà dove, arriva Sally Bowles. In realtà, viene dall'Inghilterra ed è figlia di una famiglia aristocratica — almeno così lei dice. È a Berlino perché vorrebbe fare l'attrice. Nell'attesa — finora ha fatto solo la comparsa in un film — canta in un locale, il Lady Windermere e quasi ogni notte, in cambio di una cena, di un regalo o di denaro, va a letto con uomo diverso — innamorandosi anche, talvolta. Parente prossima di un'altra attricetta sventata, la Holly Golightly di Colazione da Tiffany (ma lì siamo a New York, nel 1958), Sally ha un viso lungo e magro, quasi sempre coperto di cipria bianca, incorniciato da capelli scuri, grandi occhi marroni, le dita sporche di nicotina. Una sera, Christopher e Fritz Wendel — l'amico che gliel'ha presentata ed è pazzo di lei — vanno ad ascoltarla. Sally ha una voce sorprendentemente profonda e roca; canta male, «senza espressione, le mani penzoloni lungo i fianchi», eppure, proprio per questa sua aria noncurante, il sorriso provocatorio di chi se ne infischia di quello che pensa la gente, lo spettacolo ha un grande successo. Sally e Christopher diventano molto amici, ma non di più: lei va a letto con gli uomini, tutti (meglio se ricchi, se le promettono Hollywood); lui, tra non molto, andrà a trascorrere una estate sul Baltico insieme a due ragazzi.
Intanto, a volte litigano e poi si rappacificano; bevono tè e caffè dopo le sbronze e divorano sontuose colazioni consistenti in un uovo all'ostrica; decidono addirittura di vivere nella stessa casa; sognano il successo: che per Sally consiste nella ricchezza, nella fama, in ricchi contratti cinematografici; per Christopher, in un romanzo che venderà un numero spropositato di copie. «Mi sa» — lei gli dice un pomeriggio, fumando raggomitolata sul divano — «che deve essere favoloso, fare il romanziere. Un sognatore, un idealista privo di senso pratico. La gente crede di poterti fregare quando vuole, senonché poi ti metti a scrivere un libro su di loro, dimostrando che razza di porci sono, e hai un successo pazzesco e fai soldi a palate…». Cauto, il futuro scrittore le risponde: «Ho idea che il mio problema sia di non essere abbastanza sognatore…». Sally è come se non avesse sentito. Esclama: «Ah, se solo potessi diventare l'amante di un uomo ricco sfondato! Farei qualsiasi cosa, ora come ora, per diventare ricca».
Fuori, però, la situazione è diversa: le banche chiudono e, nonostante le rassicurazioni del Reich sui depositi, la gente è sgomenta e ha paura; sui giornali appaiono titoli allarmistici; nelle strade si aggirano le torve squadracce delle SA; di fronte ai negozi degli ebrei i giovani nazisti avvertono chi entra: «Questo è un negozio di ebrei»; la collera aumenta; gli ebrei vengono individuati e picchiati per strada senza che nessuno o quasi protesti; nelle ville in riva al lago di ricchi uomini d'affari ebrei (come i Landauer, proprietari degli enormi Magazzini Landauer) si danno ancora feste, a un passo dalla tragedia, con camerieri perfetti, caviale e champagne; nelle cantine comuniste arrivano i feriti negli scontri e non si aspetta altro che la guerra civile, perché allora arriveranno i russi e metteranno tutto a posto; la signora Novak (nuova padrona di casa di Christopher), una povera donna tisica moglie di un facchino ubriaco, madre di Otto, un ragazzaccio ombroso che si fa mantenere dagli uomini, e di Lothar che è diventato nazista, dice, in un momento di esasperazione: «Forse Lothar ha ragione. Quando Hitler sarà al potere, ci penserà lui a dare una lezione a questi ebreacci»; in un caffè si svolge il seguente dialogo fra un ragazzo nazista e una ragazza: «Sì, lo so che vinceremo» dice il ragazzo ubriaco «ma non mi basta: deve scorrere il sangue» — lei gli carezza un braccio per rassicurarlo e gli dice: «Ma certo, caro, il sangue scorrerà eccome. Il capo l'ha promesso, è nel nostro programma»; nei locali si continua a ballare; gli uomini si travestono; la situazione si fa sempre più grave; il sofisticato omosessuale comproprietario dei Magazzini Landauer, collezionista di antiche statuette orientali, amante della musica dei Meistersinger, muore misteriosamente — come molti altri ebrei cominciano a morire misteriosamente — per «arresto cardiaco»…
Addio a Berlino, pubblicato nel 1939, prima che accadesse il finimondo, è uno dei romanzi più inquietanti del Novecento. Racconta la terribile incoscienza della Storia. In che modo gli esseri umani vanno incontro alle catastrofi della Storia. Ne fecero un music hall. E, dal music hall, Bob Fosse trasse un film di grande successo, Cabaret, interpretato da Liza Minelli: un film brioso, se è possibile dirlo, divertente. Nel 1987, in un grosso teatro dalle parti dell'hotel Kempinsky davano il music hall nella versione tedesca. Non aveva nessun brio — lo ricordo benissimo —, era pesante e se vogliamo volgare. Sembrava un vestito vecchio, fuori moda, indossato male. Ma, quell'autunno, Berlino volava. C'erano due grandi mostre. Una, intitolata Berlin, Berlin che celebrava i 750 anni della fondazione della città, e un'altra intitolata Il viaggio per Berlino, che raccontava come nei secoli si arrivava a Berlino. Due mostre belle, importanti. Preparavano la caduta del Muro. E la collocazione di Berlino al centro dell'Europa. E il pensiero era là.
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