Alfonso Berardinelli
"Il Sole 24 Ore", 28 aprile 2013
Nella storiografia e negli studi letterari esiste e tuttora resiste una superstizione, secondo la quale alcuni generi rappresentano di per sé la rilevanza letteraria, la capacità creativa, e meritano perciò di occupare sempre e comunque, in tutte le epoche e in ogni decennio, il centro del sistema delle forme e il vertice dei valori.
Questi generi sono la narrativa e la poesia. Chi li pratica, non importa come e senza riguardo alla situazione storica, sarà premiato, sarà degnamente o meglio automaticamente accolto nelle storie letterarie: sembrerà degno di essere indagato stilisticamente e tematicamente, sarà definito con formule accuratamente studiate e calibrate. Ad alcuni toccheranno poche righe, ad altri una pagina o due. Ma la loro presenza sarà garantita dal fatto che si tratta di autori catalogabili come narratori (anche se raccontano poco e male) o come poeti (anche se ignorano la tecnica del verso e risultano illeggibili).
Secondo questo criterio, sarebbe invece letteratura marginale, minore, secondaria e da relegare sullo sfondo, la prosa non narrativa, la prosa di riflessione e di pensiero, la critica d'arte e la critica letteraria, la prosa filosofica, storica, giornalistica, civile e politica, polemica e autobiografica.
Questo pregiudizio assiologico, questo criterio gerarchico valgono e sono operanti soprattutto per il presente e il recente passato e spesso penalizzano gli stessi studiosi e saggisti che ne fanno uso in sede storiografica. Solo due esempi fra i molti possibili. Allegoria del moderno di Romano Luperini e Dopo la fine di Giulio Ferroni fanno parte senza dubbio della cultura letteraria contemporanea, offrono criteri interpretativi generali per orientare la lettura di autori e opere. Eppure nelle loro storie letterarie si nota una resistenza poco spiegabile a prendere in considerazione la rilevanza culturale e "inventiva" della critica.
Affinché uno storico, un filosofo, un critico, un saggista vengano presi in esame non meno che un narratore e un poeta, deve essere passato almeno un secolo. Solo tardivamente e a distanza, la saggistica entra a far parte del panorama complessivo di un'epoca letteraria. Machiavelli è giudicato all'altezza di Ariosto, Galilei merita un capitolo come Tasso, a Vico e a De Sanctis viene attribuito quasi lo stesso valore che a Goldoni e Alfieri, a Manzoni e Leopardi. Non sono sottovalutati neppure Croce e Gramsci rispetto a Pirandello e D'Annunzio, a Montale e a Gadda. Ma qui ci fermiamo. Ecco che Piero Gobetti, chissà perché, non sembra valere quanto Tommaso Landolfi e prosatori eccezionali come Roberto Longhi, Mario Praz e Giacomo Debenedetti vengono miniaturizzati rispetto a Dino Campana e Giuseppe Ungaretti, a Corrado Alvaro e Elio Vittorini.
Sembra che per essere adeguatamente apprezzati come prosatori intellettuali sia necessario aver pubblicato narrativa e poesia, come Pasolini e Calvino. Direi invece che Carlo Levi, un saggista narrativo, non è affatto inferiore né meno importante di Cesare Pavese. E Nicola Chiaromonte, saggista civile e politico, non credo sia inferiore, tutt'altro, a Fortini e a Sciascia, ma viene comunemente espulso dalle storie letterarie. Dalla parte del torto di Piergiorgio Bellocchio, pressoché ignorato dai critici, è uno dei libri fondamentali di fine Novecento e vale da solo almeno quanto l'opera poetica di Sanguineti e Raboni. Certi libri di Carlo Ginzburg, Giorgio Agamben, Roberto Calasso meritano più attenzione di alcune dozzine di romanzi e libri di poesia. Franco Brioschi, il nostro maggior teorico della letteratura (quando di teoria chiacchieravano tutti) e autore di confutazioni radicali dell'estetica formalistica, in libri come La mappa dell'impero e Critica della ragione letteraria, è ignorato dalle storie letterarie.
Nel sistema dei generi le gerarchie e gli spazi non restano sempre gli stessi. Ci sono periodi e secoli in cui certi generi letterari perdono qualità e vitalità, mentre altri brillano di luce propria. Nell'epoca di Plutarco o di Luciano, in quella di Voltaire e di Diderot, quale poeta è stato alla loro altezza? Fra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, quali romanzieri e poeti francesi potevano competere con Bataille, Blanchot, Barthes, Foucault?
Più che i generi, contano gli autori. Ancora più che gli autori, contano i singoli libri. Per capire il valore o l'interesse di un libro di poesia, per esempio, non lo confronterei con altri libri di poesia suoi contemporanei, ma con libri di prosa, narrativa o non narrativa, finzione o non finzione... Credo che sia giusto credere nei generi, ma anche nella mescolanza dei generi e nei libri fuori norma e poco classificabili. Come definire Le cose come sono. Etica, politica, religione di Giancarlo Gaeta, un libro che tutti dovrebbero avere letto? I reportage e le invettive di Giorgio Bocca, di Goffredo Fofi non appartengono alla letteratura? Che cos'è la letteratura? In mancanza di definizioni generali o generiche, preferirei la più empirica, pragmatica e lapalissiana delle formule: letteratura è scrivere nel modo migliore qualcosa di interessante.
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