I Lumi spenti di un continente rimasto senza forze
Gian Arturo Ferrari
"Corriere della Sera", 7 gennaio 2015
Houellebecq mette in mostra la nostra incapacità di comprendere l’atteggiamento dell’islam nei nostri confronti. I lumi dell’illuminismo sono spenti, ma per loro non si sono mai accesi.
C’è un antico vezzo (o un antico vizio?) tutto francese e russoiano nella tesi di Sottomissione, il romanzo di Michel Houellebecq dove si prefigura un’Europa tra pochi anni serenamente sottomessa all’islam.
Rousseau si era guadagnato la fama nel 1750 con il Discorso sulle scienze e le arti, dove arditamente capovolgeva l’assunto dei buoni accademici di Digione che avevano bandito un concorso per magnificare la purificazione dei costumi prodotta, secondo loro, da scienze e arti. Rousseau aveva invece sostenuto che arti e scienze — ossia per estensione il progresso e la civiltà — corrompono i costumi, in quanto allontanano gli uomini dallo stato di natura, innocente e incorrotto. Quest’attitudine insieme provocatoria e foriera di corposi successi è stata poi ripresa infinite volte nella cultura francese: una propensione acrobatica, un buttarsi nel vuoto con una serie di capriole nella speranza di riuscire alla fine ad afferrare il trapezio. E di sicuro oggi il più mortale tra i salti mortali è quello che riguarda l’islam e per converso l’Europa.
Non è questo l’unico tratto, l’unico marchio di fabbrica francese del romanzo di Houellebecq. Un altro, ancor più accentuato e quasi ridicolo, è l’assoluta certezza che al centro dell’Europa ci sia la Francia, al centro della Francia ci sia Parigi, al centro di Parigi ci sia la Sorbona, al centro della Sorbona ci siano gli studi filosofico-letterari e al centro di questi ultimi ci sia il nichilismo. Un paralogismo ereditato dritto dritto dal Cyrano , ma praticato dall’autore con un candore inconsapevole, quasi commovente.
Non bastano però né la mossetta russoiana né l’assorta contemplazione del proprio ombelico a liquidare le tesi di fondo di Houellebecq, che riguardano l’islam che verrà e l’Europa che c’è. Non bastano soprattutto a velare il suo maggiore, incontestabile, merito. Che è quello di aver messo il dito nella piaga, nei pensieri combattuti che attraversano tutti i giorni le nostre menti, nel tambureggiare quotidiano delle news , nei mille indizi rivelatori o inesplicabili che ci colgono ogni volta di sorpresa. E con quel dito, e in quella piaga, di rovistare a fondo.
La piaga in questione non è con ogni evidenza la profezia (utopia? distopia?) sul nostro futuro prossimo, la prossima dominazione islamica e la nostra altrettanto prossima sottomissione. Bensì il nostro atteggiamento nei confronti dell’islam o, per essere più precisi, la nostra capacità di comprendere l’atteggiamento dell’islam nei confronti nostri. Certo, la rappresentazione del futuro leader islamico, bonario e pacioccone, delle gioie (saranno poi solo gioie?) della poligamia, della serenità non competitiva è talmente accentuata da apparirci ironica. Ma non c’è dubbio che l’islam di Houellebecq sia roseo. Assai diverso comunque da quello che le cronache ci descrivono ogni giorno. E non tanto per le efferatezze, quanto per l’incomprensione, per il muro di risentimento inestinguibile che sentiamo eretto contro di noi. Quasi che noi, noi stessi, fossimo i responsabili di colpe che non abbiamo commesso, di soprusi che non abbiamo esercitato.
Dimentichiamo il colonialismo. I lumi — dice Houellebecq — i lumi, cioè la civiltà nostra ma per lui soprattutto francese, i lumi si sono spenti. Ma per loro, per l’islam e per tutti gli altri, non si sono mai accesi. Questo è il peccato originale, questa è la colpa terribile degli europei. La falsità. Aver predicato i lumi, i valori universali, un’idea onnicomprensiva di umanità, e aver praticato la schiavitù, il servaggio, l’umiliazione. Questo è il risentimento, questa è l’accusa rivolta all’Europa da tutti, ora anche dal Papa cattolico.
Altro che islam! Se l’Europa avesse forza e dignità (ma la forza di sicuro non ce l’ha e quanto alla dignità lasciamo correre…) saprebbe far fronte, pagare i propri debiti, darsi una propria identità. Non all’indietro, cercando con il lanternino le radici, ma in avanti, dicendo dove vuole andare. Ma l’Europa non c’è, non c’è più. È ridotta nelle condizioni di uno Stato di Ancien régime , frammentata in staterelli, preda di liti da assemblea condominiale, con la corte ( alias le istituzioni europee) in perenne spostamento tra Strasburgo e Bruxelles, come ai tempi di Carlo V, che, infatti, in Belgio era nato.
Sarebbe occorsa, e forse ancora occorrerebbe, una grande visione, un’unificazione politica accelerata, contro gli ostacoli non dei popoli, che sono pronti, ma di tutti gli interessi particolari coalizzati. Purtroppo la politica, il senso della politica come sintesi ultima della realtà, la maggiore invenzione della sua storia, è forse quel che l’Europa ha perduto. Se così fosse — e Dio non voglia — avrebbe ragione Houellebecq. Resterebbe solo la sottomissione. Il dibattito intorno all’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, «Sottomissione» (che esce oggi in Francia e il 15 in Italia per Bompiani) è iniziato sulle pagine del Corriere con una intervista allo stesso Houellebecq (4 gennaio) ed è proseguito con un’intervista al filosofo Michel Onfray (5 gennaio) e un intervento dello scrittore Emmanuel Carrère (6 gennaio).
“Non odio l’Islam descrivo la fine dell’Occidente”
L’ateismo perde, è troppo triste
Noi rimarremo una parentesi nel cammino dell’umanità
Ieri Michel Houellebecq si è difeso dalle accuse alla tv francese, mentre esce il suo romanzo “Sottomissione”
Anais Ginori
"La Repubblica", 7 gennaio 2015
COME un extraterrestre, incurante delle polemiche e forse anzi soddisfatto del clamore che lo precede, Michel Houllebecq appare nello studio del principale telegiornale della sera. «La République è morta» ha decretato qualche ora prima lo scrittore in un’intervista all’ Obs. Il romanziere profetizza una Francia che abbandona i suoi valori, cancella la laicità e si sottomette volontariamente all’Islam ma in una variante “moderata” e che “non fa paura”, puntualizza in diretta televisiva. Il suo nuovo romanzo Sottomissione (oggi esce in Francia, il 15 in Italia da Bompiani) non è una crociata contro la religione musulmana piuttosto, spiega, una “semplice constatazione”. Un regalo a Marine Le Pen e alle paure sventolate dall’estrema destra? «Le Pen non ha bisogno di me» risponde flemmatico lo scrittore, camicia azzurra e lunghi capelli spettinati.
L’idea di una Francia governata nel 2022 dal fantomatico partito dei Fratelli Musulmani, guidato da Mohammed Ben Abbes, avrebbe effetti benefici spiega con sottile ironia Houellebecq: la fine della guerriglia nelle banlieue, il calo della disoccupazione grazie al divieto per le donne di lavorare, l’afflusso dei petrodollari da Qatar e Arabia Saudita.
Quattro anni dopo La Carta e il Territorio, il romanziere è accompagnato da un enorme battage mediatico con quello che definisce un “libro di anticipazione”. Il successo annunciato del romanzo, anche grazie alle abbondanti polemiche, è temperato dalle critiche. «Il più deludente dei romanzi di Houellebecq » secondo Le Monde, che definisce Sottomissione mediocre dal punto di vista letterario e sbagliato politicamente in nome della presunta “neutralità” rivendicata dallo scrittore che fa dire al suo protagonista: «Mi sentivo politicizzato quanto un rotolo di carta igienica». Una «favola moderna che gioca con le paure francesi» secondo il direttore di Libération, Laurent Joffrin, che ci vede «l’irruzione – o il ritorno – delle tesi dell’estrema destra nell’alta letteratura». Il romanzo dello scrittore francese più tradotto sta suscitando reazioni anche all’estero. Un libro “terrificante” secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung che si augura che i manifestanti del movimento anti-Islam che si radunano da settimane a Dresda non leggano il libro.
In soccorso di Houellebecq si sono già schierati altri scrittori. «Un libro di straordinaria consistenza romanzesca in cui, insieme all’anticipazione, troviamo pagine magnifiche» dice Emmanuel Carrère. Il romanziere che ha firmato Il Regno sugli albori della civiltà cristiana, in uscita per Adelphi, vede un parallelo tra lo scenario profetizzato in Sottomissione e il passaggio tra la civiltà greco-romana e quella giudeo-cristiana. «Non è un islamofobo » sostiene il filosofo Alain Finkielkraut che definisce il romanzo una “pochade” ma concorda con il pericolo della fine della République e della laicità. Houellebecq è convinto di aver immaginato una fiction “verosimile”. «Forse ho solo accelerato gli eventi, il 2022 forse è troppo presto». Uno scenario che, sostiene, non ricalca i sogni dell’estrema destra. Il presidente Ben Abbes vuole costituire una grande potenza islamica occidentale e mediterranea moderata, sul modello dell’impero romano, di cui la Francia sarebbe il fulcro. «Questa politica di alleanza con i paesi arabi non sarebbe dispiaciuta a De Gaulle» chiosa il romanziere. La pensa diversamente François Hollande che figura nel libro alla fine di un disastroso secondo mandato, battuto dal fantomatico leader del partito islamico. «Leggerò il libro perché provoca un dibattito. La letteratura è libertà» ha ricordato il Presidente aggiungendo però: «Non lasciamoci divorare dalle paure, dall’angoscia ». Com’era prevedibile, Marine Le Pen si è invece dimostrata favorevole alle tesi del libro. «È una finzione che potrebbe diventare realtà» ha commentato la leader del Front National, puntando in particolare sull’alleanza tra Ps e Ump descritta nel libro, suo cavallo di battaglia.
Il romanziere si difende dall’aver scritto un testo contro l’immigrazione che favorisce la xenofobia. «Marine Le Pen può fermare l’immigrazione ma non può fermare l’islamizzazione: è un processo spirituale, un cambiamento di paradigma, il ritorno della religione». Come aveva già fatto nei suoi precedenti libri, ma qui con un approccio definitivo, Houllebecq dipinge un Occidente in rovina, autodistrutto dalla cultura materialista e individualista. «La corrente di idee nata con il protestantesimo, che ha culminato nel secolo dei Lumi e prodotto la Rivoluzione, sta morendo. Tutto ciò rimarrà una parentesi nella storia dell’umanità». L’ateismo, osserva Houellebecq, è “perdente” perché “troppo triste”. Un decennio fa, il romanziere aveva definito l’Islam come una religione per “stupidi”, poi denunciato da associazioni musulmane. Questa volta si mostra più benevolo, sia nella trama del romanzo – il protagonista si converte – sia nelle interviste che sta rilasciando. «L’Islam è in una fase ascendente» nota Houellebecq parlando con il Figaro.
«Una religione che non cerca di conquistare nuovi adepti – aggiunge – è una religione tribale, di tipo antico». I musulmani, continua Houellebecq, si trovano in una situazione politicamente “insostenibile”. «Dal punto di vista sociale sono più vicini alla destra e all’estrema destra che però li rifiutano con violenza».
Alcuni commentatori hanno paragonato il suo libro a un altro bestseller contro l’immigrazione e il declino della République, Le Suicide Français di Eric Zemmour. Lo scrittore non si riconosce nel paragone. «In mezzo a un continente che si suicida ho l’impressione che la Francia sia il solo paese a combattere disperatamente per sopravvivere». Il suicidio semmai, prosegue, è dell’Occidente. «Un suicidio economico, demografico e soprattutto spirituale». Il narratore del libro, François, 44 anni, professore universitario alla Sorbona, cede lentamente al fascino della religione per mantenere il suo posto di lavoro in un’università islamica, ma anche perché, conclude Houellebecq, «si accorge dell’impossibilità di vivere senza Dio». La “perdita di senso” delle nostre società occidentali è qualcosa che tocca lo scrittore-rockstar, abituato agli eccessi, che ora svela un’inedita vocazione spirituale. «Ho profondo rispetto per chi crede», confessa aprendo così un nuovo enigma nella sua controversa figura.
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