domenica 18 gennaio 2015

Nel mistero di Giuda (e di Gesù) la tragedia di un’amicizia sfregiata


Claudio Magris

"Corriere della Sera", 18 gennaio 2015

Tra i personaggi che ricorrono e riappaiono nei secoli quasi in ogni letteratura, sfuggendo di mano agli autori che li hanno creati o meglio trascendendo ogni loro precisa origine e identità — Ulisse, Antigone, Faust, Don Giovanni, Elettra e molti altri — c’è pure Giuda, anche se in questo caso il testo e l’autore che gli hanno dato vita, i Vangeli, hanno un’autorità particolare. Non è un caso che siano da poco usciti due altri possenti romanzi su Giuda, di Amos Oz e di Luca Doninelli, che cercano di interpretare, capire, indagare, far vivere il suo destino e il suo significato.
Nessuna lettura — né quelle pervase dalla fede cristiana più ortodossa né quelle più lontane da quest’ ultima — si è arrestata alla semplificazione del mero traditore mosso soltanto da basse passioni, invidia, gelosia o avidità. Le interpretazioni sono numerose: Giuda deluso perché si attendeva il Messia liberatore politico del suo popolo, Giuda autentico redentore perché, se quest’ultimo è venuto a prendere su di sé i peccati del mondo, egli, a differenza di Cristo che li assume solo simbolicamente, li prende davvero su di sé ovvero li compie, liberando in certo modo gli altri e pagando per la colpa un prezzo più atroce, perché più disperato e indegno, di quello di Cristo. Tesi che affascinava Borges. C’è anche un apocrifo Vangelo di Giuda, ricorda Gustavo Zagrebelsky nel suo saggio che, scrive Gabriella Caramore presentandolo, indaga nelle ragioni di Giuda tutte le ombre del cuore umano, la sua capacità di bene e di male, la libertà della creatura rispetto ai disegni del Creatore.
Il romanzo di Doninelli si addentra, con sobria e appassionata potenza espressiva, in un dramma apparentemente meno eclatante, ma misterioso e inquietante come ogni fondamentale relazione umana. Il suo racconto è la storia di un’amicizia, un’amicizia tragicamente mancata. In questo senso, il racconto, nella sua brevità ed essenzialità, è un originale testo sull’amicizia, questo rapporto e questo sentimento tante volte indagati — con acutezza, con nobile retorica o con sofisticata socio-psicologia. Rapporto sempre complesso, come ogni relazione essenziale umana; diverso ma non meno importante, nell’esistenza, dell’amore e della famiglia. La prima lettera che, tanti anni fa, mi scrisse Isaac Bashevis Singer si concludeva con gli affettuosi saluti «a Lei, alla Sua famiglia e ai Suoi amici», che evidentemente e giustamente il grande scrittore considerava essenziali realtà della mia vita. Non mi sono stupito di ricevere, quando ho perso qualche amico carissimo, lettere di condoglianza, in genere banalmente riservate a congiunti, parenti ed affini.
Pure l’amicizia, come l’amore, ha i suoi drammi, le sue gioie e le sue ferite. Amicizia terribilmente fallita tra Gesù e Giuda, nel libro di Doninelli, ma non estinta neppure dal tradimento e dalla morte. Ha avuto amici, Gesù? «Voi siete miei amici, se fate quello che io vi comando», dice Gesù nell’ultimo incontro con i discepoli, quando Giuda se ne è già andato, a tradirlo, ed egli è «molto turbato». Ma ci può essere il comando, nell’amicizia? Certo, in ogni momento di un rapporto c’è uno dei due che è più nel vero, che capisce meglio dell’altro le cose di quell’istante e quindi guida o almeno indica la rotta, ma in un’amicizia, paritetica per definizione, questo ruolo di comando o meglio di pilota passa di continuo dall’uno all’altro. Poteva Gesù, fra i suoi discepoli, avere veri amici? Di alcuni di loro ne sappiamo di meno, di altri — Pietro semplice impulsivo e generoso, Giovanni geniale e abissalmente profondo, Matteo prototipo per eccellenza dell’apostolo e del narratore testimone — di più.
Non è vero, come ha detto una volta Nietzsche nel suo contraddittorio odio-amore per il cristianesimo, che Gesù, per essere veramente capito, avrebbe avuto bisogno di un Dostoevskij tra i suoi discepoli, unico capace di raccontare veramente la sua vita. Gli apostoli lo hanno capito a fondo, ognuno a suo modo, e hanno narrato la sua vita con ineguagliabile forza e verità. Ma è difficile pensare a qualcuno di loro come a un amico — nel senso più autentico del termine — di Gesù. Neppure Giovanni lo è. Quei discepoli sono qualcosa d’altro, di più alto e importante dell’amicizia, ma nessuno di essi è «un amico».
Solo Giuda — come ha intuito Doninelli, estraendo dal suo cupo destino tale possibile verità — appare potenzialmente capace di un rapporto diverso con Gesù, a suo modo paritetico, almeno sul piano umano. Un rapporto di amicizia — sfigurata dal tradimento e dalla colpa, ma non cancellata, perché inestricabilmente radicata nel cuore. Amicizia che può degenerare ma non svanire (non a caso il titolo del libro parla di una strada che non deve finire mai), così come Caino può diventare l’assassino di Abele ma non può smettere di essere suo fratello. 

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