Elisabetta Rosaspina
"Corriere della Sera", 2 gennaio 2015
PARIGI Nessuno adesso vorrebbe essere nei panni di Geneviève Fioraso, sottosegretario all’Istruzione superiore del governo di Parigi, che ha proposto il nome dell’economista e scrittore Thomas Piketty per la croce della Legion d’Onore, il riconoscimento più importante conferito ogni anno in Francia a quanti abbiano dato lustro alla nazione, per meriti militari o civili. Meglio sarebbe stato sondare prima la disponibilità del candidato a ricevere l’onorificenza, perché il presidente della Repubblica, François Hollande, non ha proprio preso sportivamente il pubblico smacco di quel fiero «je refuse», opposto da uno dei più quotati economisti del momento: «Non sta al governo decidere chi sia da onorare. Si preoccupi piuttosto di rilanciare la crescita della Francia e dell’Europa», è stato lo sbrigativo messaggio di Piketty, recapitato al presidente attraverso le agenzie nel giro di qualche ora.
La prima arrabbiatura di Hollande nel 2015 arriva, e forse non era imprevedibile, dall’anticonformista autore del saggio Il Capitale nel XXI secolo, best seller da un milione e mezzo di copie (in Italia pubblicato da Bompiani). Un trionfo in 32 lingue che ha fatto di Piketty «l’economista rockstar» (per usare un’espressione coniata dal pur diffidente «Financial Times»).
Consultato dai più stretti collaboratori di Barack Obama, acclamato dalle folle, applau-dito a New York da una folta schiera di premi Nobel per l’Economia (a cominciare da Paul Krugman), Piketty, 43 anni, aveva ricevuto un’accoglienza più tiepida dalle alte sfere francesi, con le sue teorie contrarie alla politica di austerity e il suo allarme sull’irresistibile aumento delle diseguaglianze nella nostra epoca.
Nel 2012 Piketty era fra i sostenitori della candidatura di Hollande alla carica di capo dello Stato; ma, una volta presidente, il leader socialista aveva tradito le aspettative dell’economista, fervente propugnatore di una riforma fiscale in favore dei redditi più bassi, infine accantonata dal governo. L’idillio era finito.
Da allora Piketty non ha risparmiato critiche e frecciate alla politica di Hollande, il quale forse sperava di recuperare la sua benevolenza con la lusinga di un cavalierato. Istituita nel 1802 da Napoleone Bonaparte, la Legion d’Onore, fin dal nome, evoca la sua natura di corporazione, simile a quella degli ordini cavallereschi cancellati all’epoca dalla Rivoluzione francese. Si divide in cinque classi: da cavaliere fino a gran maestro (il titolo più alto, che spetta in esclusiva al presidente della Repubblica in carica). E annovera in tutti i suoi gradi 92 mila membri.
Ieri mattina, come a ogni inizio d’anno, la gazzetta ufficiale francese ha pubblicato l’elenco di 691 personaggi destinati a ricevere la decorazione per i meriti acquisiti nel 2014, con il titolo di cavaliere, ufficiale o commendatore. Fra loro: il neo premio Nobel per la Letteratura, Patrick Modiano, il suo collega che ha vinto per l’Economia, Jean Tirole, l’ex ministro della Cultura e attuale presidente dell’Istituto del Mondo Arabo, Jack Lang. O imprenditori come Pierre Bergé, compagno di vita di Yves Saint Laurent e cofondatore della casa di moda. O eroi quotidiani, come Lucie Pérardel, l’infermiera di Médecins sans Frontières, contagiata da Ebola in Liberia e guarita poi in Francia.
Con la sua risposta, Piketty entra a far parte di una élite più ristretta, ma certamente non meno qualificata, accanto ai fisici Pierre e Marie Curie, agli scrittori Guy de Maupassant, Albert Camus, Jacques Prévert, George Sand, al filosofo Jean-Paul Sartre, o a celebrità come Brigitte Bardot. Quelli che hanno detto «no» alla Legion d’Onore. Wikipedia non ha perso tempo: il nome dell’economista è già iscritto nell’apposita categoria.
Lewis, Sartre e gli altri: il premio? No, grazie
Precedenti clamorosi per il Pulitzer, il Nobel e la medaglia Fields
Antonio Carioti
«Tutti i premi, come tutti i titoli, sono pericolosi». La frase dello scrittore americano Sinclair Lewis è tratta dalla lettera con cui nel 1926 motivò il rifiuto del Pulitzer. Chi mira a vincere un premio, proseguiva Lewis, non cerca tanto l’eccellenza, quanto di compiacere i pregiudizi della giuria. E questo gli appariva un meccanismo perverso, anche perché riteneva che gli stessi termini per l’attribuzione del Pulitzer fossero assai discutibili.
Bisogna aggiungere che Lewis, assai critico verso i valori dominanti nella società americana, era rimasto scottato in precedenza, quando il Pulitzer non gli era stato assegnato, nel 1921 e nel 1923, a causa di pesanti interventi dall’alto sulla giuria. E che comunque il romanziere non ebbe problemi in seguito ad accettare il premio Nobel: fu il primo scrittore degli Stati Uniti a vederselo assegnare nel 1930. Il suo caso assomiglia un po’ a quello recente dell’autore spagnolo Javier Marías, già insignito di molti riconoscimenti all’estero, che nel 2012 ha rifiutato il premio nazionale di narrativa in polemica con il governo di Madrid.
Più intransigente il filosofo francese Jean-Paul Sartre, che nel 1964 declinò il Nobel per la letteratura, suscitando un gran clamore, dopo averlo già fatto con la Legion d’Onore (come Piketty) nel 1945: «Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione», spiegò in una lettera all’Accademia svedese, pur riconoscendo che in questo caso ciò sarebbe avvenuto in maniera onorevole. Quello di Sartre fu un rifiuto spontaneo, ben diverso dal caso dello scrittore russo Boris Pasternak, che nel 1958 era stato costretto a tirarsi indietro dalle pressioni del governo sovietico, così come avevano fatto negli anni Trenta tre scienziati tedeschi — Gerhard Domagk, Richard Kuhn e Adolf Butenandt — per via del veto posto da Hitler per ragioni politiche. Solo dopo la guerra e la sconfitta del nazismo i tre ritirarono il Nobel.
Uno scienziato che invece non volle mai avere nulla a che fare con i riconoscimenti ufficiali è il matematico Alexander Grothendieck, recentemente scomparso in Francia. Nel 1966 rifiutò la medaglia Fields, l’equivalente del Nobel per la matematica, perché non intendeva andare a ritirarla a Mosca. E poi nel 1988, quando aveva ormai rotto con il mondo accademico, fece lo stesso con il premio svedese Crafoord, motivando la sua scelta in una polemica lettera su «Le Monde». In fatto di matematica va poi ricordato l’eccentrico russo Grigorij Perel’man, noto per essere venuto a capo nel 2002 della congettura di Poincaré, irrisolta da quasi un secolo, ma anche per aver rifiutato il conseguente premio Clay e la me- daglia Fields. Più o meno come Grothendieck, Perel’man si è isolato da ogni forma di ufficialità.
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