martedì 5 marzo 2013

Titoli tossici: IL MERCATO SEGRETO DEI GHOSTWRITER


Ecco chi sono gli autori anonimi che confezionano libri su richiesta

STEFANIA PARMEGGIANI

"La Repubblica", 4 marzo 2013

Non sono mai esistiti. Il manager americano dalla vita frenetica, il dissidente politico che in Russia non  aveva trovato un editore disposto a pubblicarlo, il dirigente della Cia, la prostituta di Mosca, l’adolescente irrequieta, la libraia che sognava una vita in rosa, la donna bionda e indipendente che per prima osò  inventarsi una ragazzina detective...
Sono tutti autori di carta, nomi stampati sulla copertina di un libro per vendere copie. Le loro opere a volte sono falsi perfetti, altre appartengono a serie alimentate a tavolino da una “officina di scrittori”, ma spesso sono una fotocopia dell’ultimo bestseller, “titoli tossici” che ingolfano il mercato e vendono quel tanto che basta per assicurare un guadagno a chi li pubblica. Sono un castello di parole affidato a un professionista della scrittura, un ghostwriter ingaggiato da una casa editrice e vincolato al silenzio: non una parola  sull’argomento del libro, sui tempi di consegna e sulle regole d’ingaggio.
Chi lavora all’ombra di persone inesistenti ha un profilo molto più fragile di chi scrive per politici, star della televisione o sportivi. Non può ambire alla carriera di J. R. Moehringer, il Pulitzer che ha dato voce ad Andre Agassi. Svelarsi significa diventare un dannato dell’editoria: nessuno gli darebbe più lavoro. Ecco perché le testimonianze che seguono sono tutte anonime: le persone che hanno fatto da tramite e i ghostwriter che hanno accettato di raccontarsi devono restare fantasmi. Ci hanno mostrato i libri a cui hanno lavorato e quelli che stanno scrivendo, copie dei contratti che hanno firmato (si va dalla consulenza editoriale alla  realizzazione di contenuti per un sito Internet), brochure pubblicitarie destinate ai librai e correzioni degli editor... Tutto, a patto di non svelare le loro identità.
Il primo fantasma ci accoglie nella stanza che utilizza come studio. Sul tavolo un portatile e una pila di libri, romanzi rosa di case editrici diverse, ma con trame molto simili. Tra qualche mese ce ne sarà uno in più, il suo. «Sto scrivendo una storia romantica evitando espressioni complicate e ambientazioni ricercate. Non vogliono un’opera letteraria, ma un libro commerciale, una fotocopia dei tanti che sono già in circolazione. Poi gli metteranno una copertina sgargiante e si inventeranno l’identità dell’autrice. Non so ancora di chi sarò il fantasma, ma immagino che si tratterà di una esordiente straniera. Diranno che in patria è stato un successo, tanto nessuno controlla e anche se lo facesse non troverebbe nulla. 
Leggete gli strilli sulla quarta di copertina, in questo genere di libri sono anonimi o attribuiti a sconosciuti blog letterari». Per l’editore è un guadagno sicuro: non ci sono aste a cui partecipare, diritti da pagare,  compensi per i traduttori. Il rischio d’impresa è ridotto al minimo perché il ghostwriter inizia a scrivere solo quando le prenotazioni dei librai sono tali da coprire i costi. Qualche migliaio di copie e si comincia a guadagnare. Stabilire un confine è difficile, anche se una idea la si può avere dalle royalty che a volte vengono corrisposte: una delle persone intervistate ci ha spiegato di avere iniziato a percepire una  percentuale dopo che le vendite avevano superato le cinquemila copie. 
L’editore era stupito: si sarebbe accontentato di un venduto inferiore. D’altronde non è necessario investire in pubblicità e neanche girare le redazioni dei giornali. I “titoli tossici” non hanno bisogno di recensioni, si accodano al successo dell’ultimo bestseller. Sì, ma perché inventarsi una scrittrice finta? «Uno pseudonimo fa meno presa di una biografia abilmente costruita e così facendo si può promuovere come un caso editoriale un libro che ancora non esiste».
Il meccanismo è semplice e ben collaudato. Ha anche una sua tradizione d’autore come dimostra la storia di Carolyn Keene, autrice americana che ha venduto 200 milioni di copie senza essere mai esistita. I suoi libri, pubblicati in Italia da Mondadori e Piemme, sono stati scritti da autori professionisti ingaggiati dall’imprenditore Edward Stratemayer. Dall’editoria per ragazzi alla fantascienza, che non è piena solo di pseudonimi, ma anche di identità fittizie, costruite a tavolino e ammantate di mistero. Si pensi a James Tiptree Jr, non una spia, ma una psicologa americana. E non si tratta solo di romanzi. Qualche anno fa, sulla scia di un libro di auto-aiuto che ebbe notevole successo, vennero pubblicate alcune parodie. Una di queste fu a sua volta un piccolo caso editoriale. Racconta il ghostwriter che se ne occupò: «Non avevo una scaletta, ma dovevo scrivere quella storia nei panni di un manager americano molto stressato. La scrittura procedeva di pari passo con la costruzione dell’identità dell’autore. È stato un instant book: in cinque giorni era finito ». A metà anni Novanta fece clamore il caso di Vadim Dubrovskij (Orfani di madre Russia, Sperling & Kupfer), dissidente politico creato dall’antropologo Michael Korovkinsu richiesta di Indro Montanelli. Lo stesso autore fu poi contattato da un dirigente della Mondadori per scrivere Memorie di una maîtresse moscovita.
In quel caso assunse l’identità di Lena Volgina, prostituta nella Russia di Breznev. In entrambi i casi è stato Korovkin, con una intervista a Stefano Malatesta pubblicata da Repubblica il 31 gennaio 1995, a confessare l’inganno. Non succede spesso, anzi nella maggioranza dei casi lo scrittore resta nell’ombra. E non solo per un vincolo contrattuale: «Perché dovrei mettere il mio nome su un prodotto pensato da altri e lontanissimo dalle mie corde? – chiede un romanziere romano pubblicato da una nota casa editrice – Non sono abbastanza famoso perché si pensi a un vezzo o a un esperimento letterario. L’unico risultato che otterrei è una brutta figura, anche perché raramente ci sono le condizioni per realizzare un buon lavoro.
Bisogna fare in fretta e con pochissimi o nulli spazi di ideazione ». L’unico motivo per accettare è il denaro anche se i compensi non sono quelli americani: senza scomodare il ghostwriter di Hillary Clinton, che secondo il New York Times ha incassato 500mila dollari, oltreoceano le cifre variano tra i diecimila e i trentamila dollari. E neppure quelli canadesi dove esiste un tariffario minimo stabilito dalla Writer’s Union: 40mila dollari per 90mila parole. «I compensi – continua un’altra ghostwriter – non superano i duetremila euro e non tutte le case editrici assicurano royalty».
Eppure è un lavoro difficile, come spiega Erwin Taormina de Greef, uno dei pochi ghostwriter che parla a viso aperto. Lo fa per un motivo: non dà voce a scrittori inesistenti, ma a persone in carne e ossa, quasi sempre privati. «Questo lavoro non ha nulla di istintivo, è un atto di volontà, pura tecnica. Le difficoltà sono diverse e quasi tutte legate a chi comparirà come autore sulla copertina. Se è un esordiente, una persona alla sua opera prima, è necessaria una stretta collaborazione per capire cosa vuole raccontare e con quale registro. Le cose si complicano quando di mezzo c’è un autore già pubblicato, letto e studiato. È necessario analizzare la costruzione delle frasi ed evitare ingenuità». Taormina de Greef tace su un unico dettaglio: i nomi dei suoi clienti. Come del resto fanno le agenzie di scrittori fantasmi che si rivolgono ai privati. Ghostwriting Italia sul suo sito scrive di avere tra i propri clienti «piccoli e medi imprenditori, dirigenti industriali, militari in pensione, esponenti del mondo finanziario, docenti universitari, membri dell’aristocrazia», ma rifiuta di mostrare i libri che ha realizzato: «Il nostro primo impegno con il cliente è quello legato alla riservatezza e all’anonimato». Sono fantasmi, vivono nell’ombra e quando accettano di scrivere per persone nate da un gioco di illusioni diventano ancora più trasparenti. Semplicemente, smettono di esistere.  

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