venerdì 1 marzo 2013

Tutti pazzi per la noia


ENRICO FRANCESCHINI


"La Repubblica", 28 febbraio 2013

Per Pascal, "non c'è niente di più insopportabile". Per Schopenhauer, era "la morte in vita". E per Alberto Moravia, che le dedicò un romanzo (sin dal titolo), rappresentava lo sfacelo del mondo borghese. Ma anche se tutti sanno più o meno definirla, uno stato di insoddisfazione, di fastidio, di inerzia, più difficile è spiegare cosa provochi la noia, quali effetti ne conseguano ed eventualmente come curarla. Nell'epoca di Twitter, smartphone e tablet, non dovrebbe esserci nemmeno il tempo di annoiarsi. Eppure statistiche e psicologi indicano che è un diffuso malessere. Il progresso tecnologico l'ha forse accelerato: provate a togliere il telefonino a un adolescente, o a un adulto, e vedete quanto bisogna aspettare per sentirgli dire "non so cosa fare". Non deve sorprendere perciò che un crescente numero di studiosi si dedichino a indagare questo particolare stato d'animo.
Il Wall Street Journal, che in quanto "bibbia" del capitalismo considera probabilmente la noia un peccato mortale (non si è mai sentito che qualcuno si stufi di fare soldi), ha raccontato ieri alcune di queste esperienze - con l'ironica avvertenza ai lettori: sperando di non annoiarvi. Dal Canada all'Irlanda, pare ci sia un boom di ricerche scientifiche sull'argomento. Il problema è trovare compiti abbastanza noiosi a cui sottoporre i volontari usati per i test. Alla Guelph University, nell'Ontario, li obbligano a contare quante volte una lettera appare in una lunga lista di citazioni bibliografiche. All'università irlandese di Limerick li costringono a guardare un film educativo sugli allevamenti di pesce. All'università di Waterloo devono assistere al video di un uomo che tosa l'erba o appende la biancheria. L'autunno scorso, a Londra, si è tenuta la terza Boring Conference, una conferenza annuale sulla noia: nessuno dei partecipanti sbadigliava. 
Può sembrare un esercizio futile (per non dire noioso). Ma gli studiosi del ramo, come il professor John Eastwood della York University, lo trovano affascinante. La noia, dicono, ha un serio impatto su salute e produttività. È collegata a depressione, obesità, abuso di alcol e droghe, e perfino a un più alto tasso di mortalità. Uno studio del 2010 sostiene che gli individui più propensi ad annoiarsi hanno due volte più probabilità di ammalarsi di disturbi cardiaci. L'espressione "morire di noia" non sarebbe soltanto un modo di dire.
Dal punto di vista neurologico, la scienza cerca ancora di scoprire gli effetti della noia sul cervello. Una teoria è che dipenda da una specie di corto circuito nella rete del sistema nervoso che controlla la capacità d'attenzione. Per la maggioranza di coloro che ne soffrono, la noia dipende dall'esterno, dagli altri, "mi hanno assegnato un incarico noioso", "stare in sua compagnia è una noia", mai da se stessi. Un'altra certezza è che civiltà diverse si annoiano in maniera diversa. L'antropologa australiana Yasmine Misharbash ha trascorso tre anni a studiare la noia fra i Warlpiri, una tribù di aborigeni: poiché non hanno l'abitudine di stare soli, non dicono mai "mi annoio", piuttosto "è un momento noioso". Non dovrebbe esserci bisogno di uno scienziato per far passare la noia, ma gli studiosi offrono comunque consigli: pensare che una mansione, anche se monotona, ha un'utilità sociale. O fare attività fisica, anche solo una passeggiata. Ma se uno è in preda all'inerzia fisica e spirituale, come Oblomov, protagonista dell'omonimo romanzo di Goncarov, non è facile entusiasmarsi o mettersi in moto. Per fare alzare i russi come lui dal proverbiale divano in cui oziavano, ci volle il comunismo. E anche quello, dopo un po', diventò noioso.

Nessun commento:

Posta un commento