lunedì 2 luglio 2012

Cesare Segre racconta Tristano e Isotta


Da Cesare Segre, Dieci prove di fantasia"Corriere della Sera", novembre 2010.


Le astuzie di Isotta per amore di Tristano

Sono stanca di questa altalena. Può darsi che mio marito, re Marco, sospetti la nostra tresca

Sì, stavolta ho preso io l’iniziativa. Sono stanca di questa altalena: mio marito, il re Marco, ama molto Tristano, suo nipote, e ama me, sua moglie. Può anche darsi che sospetti la nostra tresca, e che la cosa non gli pesi poi tanto. Quello che gli ruga da morire è la sua dignità. E allora, se qualcuno gli parla della nostra relazione, può diventare una bestia. E ci sono in particolare quattro baroni che, non so per quali motivi, s’impegnano ad attizzare la sua gelosia. Così, mentre per certi periodi la vita di tutti noi è calma come l’olio, ogni tanto la sua ira esplode.
Tristano e Isotta: un pannello d’avorio che li rappresenta spiati da re Marco
Tristano e Isotta: un pannello d’avorio che li rappresenta spiati da re Marco

Ne ho già passate di tutti i colori. È arrivato a far preparare il rogo per arrostirvi Tristano e me. In quell’occasione Tristano è stato strepitoso: ha chiesto di andare a pregare in una cappella alta su una falaise, e si è gettato dalla finestra, spaccando le vetrate e atterrando, sostenuto dal vento, e forse dai santi, in una landa da cui è fuggito. Ma io me la sono vista ancora peggio, perché mentre le fiamme si alzavano già dal rogo, il lebbroso Ivano, apparso insieme a una banda di compari, ha suggerito al re di consegnarmi a loro, e mi ha trascinata verso quegli schifosi stringendo il mio braccio come in una morsa. Che Marco abbia potuto approvare una proposta così crudele mi pare quasi incredibile. Comunque, Tristano, che doveva essere nascosto da qualche parte, arrivò a cavallo come un ciclone, fece fuori quella gentaglia e mi portò in salvo. Altre volte invece Marco dimostra una finezza d’animo che potrebbe anche apparire dabbenaggine. È da poco che, sempre sobillato da qualche spione, ha trovato Tristano e me, che eravamo riparati in una foresta, mentre dormivamo in una capanna di foglie. Avevamo messa tra noi due la spada di Tristano, pronta all’uso. Invece, Marco ha interpretato la sottile barriera della spada fra di noi come un segno di castità. Senza svegliarci, ha sistemato la sua spada al posto di quella di Tristano, e ha persino intercettato un raggio di luce che mi colpiva mettendo in mezzo un suo guanto. Come estremo segno d’amore, mi ha sfilato dal dito l’anello che mi aveva donato al nostro matrimonio, sostituendolo con quello che gli avevo dato io.

Poi però le cose si sono imbrogliate: sono entrate in gioco l’intercessione di Ogrin, un eremita che vorrebbe salvare le nostre anime e, possibilmente, i nostri corpi, e una lettera di perdono, dettata da Tristano stesso (non sa scrivere, è ovvio); c’è stata un’assemblea, in cui i baroni hanno proposto a Marco di riaccogliere me, ancora regina sino a prova contraria, e di mandare in esilio Tristano. Ma a questo punto sono stata io a sfidare i felloni, che volevano ulteriori prove o garanzie di fedeltà al re, accettando, anzi chiedendo di essere sottoposta al giuramento e alla prova del ferro incandescente. Marco si è detto d’accordo, e il giorno è vicino. Eccomi qui. Sarà dura. Ma penso che il mio ritorno alla dignità di regina dev’essere solenne e, se possibile, duraturo. Ho già in mente qualche astuzia per farla franca. Per questo ho chiesto che re Artù, il massimo rappresentante della cavalleria, assista, con i suoi, come testimone: so che è un mio ammiratore, e conto molto sulla soggezione che ha Marco verso di lui. Non vorrà perdere la sua protezione per una faccenda di corna. Ma ho anche detto a Tristano di nascondersi non lontano dalla scena, per qualunque evenienza. Il giorno della cerimonia dovrà essere presente, travestito da barbone. So che lui, come trasformista, è un dio. L’ha già fatto altre volte, anche in situazioni difficili. Non capisco perché, ma gli piacciono queste prove di degradazione fittizia, e ha un gusto teatrale innato.
È, come deciso, la decima notte della luna. L’appuntamento di questa mattina è al Mal Pas, una zona pianeggiante, con una bassa vegetazione selvaggia in cui s’insinuano disordinatamente molti acquitrini. Chi conosce il luogo può avanzare con sicurezza, ma gl’imprudenti scivolano facilmente giù nella melma, e possono farci un bel bagno. Anche i cavalieri rischiano, perché i cavalli, imbrogliati dalla vegetazione, si arrabattano spaventati tra terra e acqua e foglie; uscendo dall’acquitrino, cavalli e cavalieri sembrano statue di fango.
Tristano e Isotta: il rapimento di lei in una miniatura tratta da un manoscritto del XV secolo
Tristano e Isotta: il rapimento di lei in una miniatura tratta da un manoscritto del XV secolo

I preparativi, comunque, fervono. Arrivano carriaggi che portano bauli e tende; un ricco accampamento viene montato in gran fretta, al servizio di principi e baroni. I cavalieri giungono con i loro abiti multicolori e le insegne al vento. La folla dilaga ovunque, alla ricerca di qualche improbabile posto di osservazione. Fra trombe, voci umane e le grida di aiuto dall’acquitrino, è un bel concerto. In mezzo alla palude, dove so che c’è una ristretta zolla di terra compatta, si è messo di guardia Tristano. Vedo che si è travestito da perfetto lebbroso: niente camicia, ma un giubbone rammendato, delle scarpe rappezzate e in mano una gruccia; ostenta un passo malfermo. Il viso, suppongo perché l’ho visto altre volte in queste pagliacciate, è annerito e sembra pustoloso. Stupisce il fatto che nessuno noti il contrasto fra il travestimento e il fisico di Tristano: alto e dritto, con tutte le membra (adorate membra) a posto anche se coperte da vesti miserabili. Vedo che si abbandona al suo gusto istrionico: biascica, suppongo, discorsi patetici per impietosire il cuore tenero di borghesi, valletti e cavalieri, cui chiede l’elemosina; ma poi insegue e bastona con la gruccia quelli che si sono presi gioco di lui.

Ormai le personalità importanti hanno superato il Mal Pas, guidate e aiutate dai loro servi. Ad Artù, proprio ad Artù, Tristano ha rivolto un lungo discorso, ed è riuscito a farsi regalare le sue magnifiche ghette. Sopraggiunto re Marco, mio marito, Tristano ha mendicato da lui il cappuccio. Ma poi, su domanda di Marco, come mi hanno riferito, Tristano ha avuto la sfacciataggine di raccontargli che lui ha amato una donna bella come me, la quale gli ha trasmesso la lebbra presa dal marito. Insomma, la nostra storia, con Marco come portatore di contagio. E Marco se n’è andato ridendo, mentre a me vengono i brividi solo a pensare che queste sbruffonate inutili potevano portare Tristano e me alla catastrofe. Tristano ha voluto certo umiliare il re come coronamento dell’adulterio realizzato; ma una cosa è il coraggio, un’altra l’incoscienza. Per fortuna ci sono io, che sono furba e qualche volta riesco a rimediare alle malefatte di quel ragazzone. La mia furbizia ha avuto il suo trionfo, tempo fa, nel caso dell’appuntamento sotto il pino. Le cose sono andate così. Dovevamo vederci presso un pino. Quando ci andammo, mi resi conto che tra i rami c’era nascosto qualcuno. Ebbi il dubbio che si trattasse di Marco, e improvvisai un discorso in cui pregavo Tristano di non compromettermi con gli eccessi della sua premura. Dal momento che non c’era nulla fra di noi, dissi, era sciocco dare adito a sospetti ingiustificati. Il re, dato che era proprio lui, se la bevve, e ci guadagnammo un po’ di tranquillità.
Intanto, la sceneggiata di Tristano al Mal Pas è continuata. Dava informazioni false ai cavalieri, spingendoli proprio verso l’acquitrino, e quando si dibattevano nel fango gli chiedeva l’elemosina. A un certo punto arrivarono i maledetti spioni; li guidò verso il centro della palude. Li aiutava poi a sollevarsi con l’aiuto della sua stampella, ma quando stavano rimettendosi in piedi, mollava la stampella e li faceva sprofondare ancora di più. A quel punto sono arrivata io e, altra imprudenza, ci siamo strizzati l’occhio divertiti. Che incoscienti: in piena tragedia ci divertiamo pure.
Gli innamorati con la pozione raffigurati nel 1916 da John William Waterhouse
Gli innamorati con la pozione raffigurati nel 1916 da John William Waterhouse

Ma qui viene un momento importante; ogni mossa va calcolata. Lo scudiere di Tristano, Dinas, mi ha aiutata a superare a cavallo i punti più rischiosi e a evitare d’infangarmi. Ormai Artù e Marco, al di là del terreno malcerto, aspettano che io li raggiunga percorrendo le assi che coprono le ultime propaggini di melma. Tenete conto che io, di proposito, mi sono abbigliata come per una serata a corte, non come chi deve attraversare erbacce fangose. Le mie vesti sono di seta giunta da Bagdad, con i bordi di ermellino. Il mantello e la tunica hanno lunghi strascichi. I capelli scendono sulle mie spalle intrecciati a nastri di lino e a fili d’oro. Insomma, giunta a poca distanza dalla mensa regale, ho detto che non volevo assolutamente sporcare i miei abiti, e ho chiesto al lebbroso (caro lebbroso) di portarmi a cavalcioni sino al tavolo dei monarchi. Lui si diceva incapace, fingeva di vacillare e inciamparsi, ma m’imposi. Lo cavalcai come cavalcano gli uomini, una gamba di qua, l’altra di là. Sentivo il suo collo tra le mie cosce, e vibravo di desiderio. Mi dicevo: stai calma.

Artù, Marco e un mucchio di cortigiani mi vennero incontro quando scivolai giù dalla sua schiena. Le cose potevano finire qui, ma Tristano, al solito, ha voluto strafare e ha chiesto ad Artù di dargli un po’ di denaro per la cena. Allora ho ripreso il gioco, anche per mostrare di non essere d’accordo con il mio portatore. Ho detto ad Artù che stringendolo con le mie gambe avevo constatato che il barbone è ben in carne, e ha anche una borsa, certo piena di belle pagnotte. In più, ho aggiunto, ha già avuto in dono le ghette e il cappuccio dei due sovrani, e potrà persino comperarsi qualche pecora o un asinello. I due re se la sono spassata alla nostra commedia.
Inutile prendere nota della giostra che ebbe subito inizio. Alla fine, fu steso sull’erba davanti alla tenda di Marco un tappeto ornato con figure di animali. In un angolo erano esibite le sante reliquie sulle quali avrei giurato. Prende la parola quel grande amico che è re Artù, un vero tesoro, rimproverando re Marco per aver dato retta a calunnie assurde, e dicendo che, dopo il mio giuramento, avrebbe personalmente punito mio marito se avesse espresso qualunque ulteriore sospetto. Il pubblico, numeroso, s’era ammucchiato tutt’intorno, e il brusio era chiaramente a mio favore. E allora Artù ha formulato il giuramento che si aspettava da me: dovevo giurare che Tristano non ha alcuna inclinazione amorosa per me che contrasti con la morale e la ragione, ma prova solo il sentimento di affetto dovuto allo zio, cioè a Marco, e alla sua signora, cioè a me.
Un fotogramma del «Tristan Project» di Bill Viola (2005)
Un fotogramma del «Tristan Project» di Bill Viola (2005)

Io ho inventato una formula ben più espressiva, quasi stupefacente: sentite come sono stata scaltra. Ho preso nelle mani le reliquie, ho invocato Dio e i santi, e ho detto con tono solenne: «Giuro che fra le mie cosce non è mai entrato alcun uomo, se non il lebbroso che mi ha preso sulle spalle per attraversare il guado, e il re Marco, mio sposo. Solo questi due sono entrati fra le mie cosce». Non è frequente che una signora parli così esplicitamente e in pubblico delle sue cosce e delle loro funzioni, ma mi è piaciuto farlo perché il finto lebbroso mi aveva effettivamente portato a cavalcioni; e io avevo subito pensato alle mille volte che i nostri corpi si sono intrecciati voluttuosamente. Quanto al valore del giuramento, il trasportatore s’identificava con l’amante, e perciò io non giuravo il falso.

Dio, naturalmente, tutto sa, e perciò tutto sapeva. Ma sinora ha sempre mostrato di proteggerci, e già altre volte ho spergiurato il suo nome, senza che sia successo niente. Sento che verrà un giorno in cui ce la farà pagare, ci farà pagare tutto, e certo non è verosimile che io e Tristano si giunga felici alla nostra vecchiaia. Suppongo però che Dio, grande artista senza dubbio, apprezzi la storia del nostro amore, che potrebbe diventare celebre, e favorisca la sua continuazione, sin quando sia verosimilmente possibile. E se anche fossimo separati, se anche Tristano fosse attratto da un’altra donna, sono sicura che mi sentirò per sempre una parte di lui, e lui una parte di me, e il suo corpo dominerà sempre la mia mente. Se poi Tristano fosse in pericolo di vita, come quando il Morholt lo ferì con la spada avvelenata, io arriverò ancora a salvarlo con le mie arti magiche, ovunque mi trovi, ovunque si trovi lui. Questo pensavo mentre mi portava oggi a cavalcioni, ed è uno degli infiniti momenti in cui il contatto col suo corpo mi ha riempito, inebriato, beatificato.
Cesare Segre

15 novembre 2010


L'autore

Cesare Segre è nato nel 1928 a Verzuolo (Cuneo). Filologo, semiologo e critico letterario, è professore emerito all’università di Pavia, dove ha insegnato Filologia romanza. Tra i molti testi pubblicati: «I segni e la critica», «Le strutture e il tempo», «Avviamento all’analisi del testo letterario», «Notizie dalla crisi» «Per curiosità» (tutti Einaudi), «La letteratura italiana del Novecento» (Laterza) e il recente «Dai metodi ai testi» (Aragno). Numerose sono le sue edizioni critiche. Il racconto che pubblichiamo è tratto dalla raccolta «Dieci prove di fantasia» che sarà in libreria da martedì (Einaudi, pp. 98, € 12).

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