Nel maggio del 1872, in rue Monsieur-le-Prince a Parigi, Arthur Rimbaud affitta una mansarda, con vista sul giardino della scuola SaintLouis. […] "Adesso lavoro di notte. Da mezzanotte alle cinque del mattino [...]. Alle tre, la candela impallidisce; negli alberi gli uccelli gridano tutti insieme: è finita. Basta col lavoro".
"Molte strade portano alla camera: il riposo, il sonno, la nascita, il desiderio, l'amore, la meditazione, la lettura, la scrittura, la ricerca di sé, Dio, la reclusione voluta o subita, la malattia, la morte. Dal parto all'agonia, la camera è il teatro dell'esistenza o almeno ne è il retropalco, il luogo dove il corpo nudo, deposta la maschera, si abbandona alle emozioni, al dolore, alla voluttà. Passiamo in una camera quasi metà della vita, la metà più carnale, più sommessa, più notturna, quella dell'insonnia, dei pensieri vaganti, del sogno, finestra sull'inconscio e forse sull'aldilà; un chiaroscuro che accresce la sua forza di attrazione [...]. La camera è una scatola, reale e immaginaria. Quattro mura, un soffitto, un pavimento, una porta e una finestra strutturano la sua materialità. Le dimensioni, la forma e gli arredi variano a seconda delle epoche e delle classi sociali. Quando è chiusa, protegge come un sacramento l'intimità del gruppo, della coppia o del singolo: di qui l'importanza capitale della porta con la chiave (una sorta di talismano) e delle tende (i veli del tempio). La camera protegge l'individuo, i suoi pensieri, le sue lettere, i suoi mobili, le sue cose."
Michelle Perrot, Storia delle camere, Palermo, Sellerio, 2012
Paolo Mauri, La storia in una stanza, "la Repubblica", 11 ottobre 2009 | |
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Histoire de chambres, ultimo lavoro della storica francese Michelle Perrot, è un interessante studio su quello che la camera da letto ha rappresentato nel corso dei secoli per uomini e donne di ogni classe sociale. Tradizionalmente considerata come luogo intimo e privato per eccellenza, in realtà la camera ha avuto nel tempo varie funzioni, anche di natura politica, a dimostrazione di come il confine tra pubblico e privato sia in molti casi straordinariamente labile. Per molti la camera da letto ha inoltre rappresentato un lusso inarrivabile: ciò testimonia che la necessità di una propria intimità sia comune a tutti gli uomini, a prescindere dal tempo e dalla condizione sociale in cui essi vivono.
È stato Michel Foucault a sostenere la necessità di studiare gli spazi che quotidianamente viviamo e adesso Michelle Perrot, un’illustre storica francese che molto ha lavorato con Georges Duby, firma una singolare ricerca sulle camere (Histoire de chambres, Seuil, pp. 450, € 22) attraverso i secoli puntando lo sguardo, in apertura, su una camera da letto piena di Storia, quella del Re Sole . Come si sa, ogni azione del grande sovrano era regolata da un cerimoniale complesso, sicché l’andare a letto o l’alzarsi avveniva davanti ad un pubblico ristretto e molto selezionato oltre che al personale di servizio. Quasi nessuno aveva il privilegio di restare solo con lui. Alla fine quella camera era una sorta di teatro e in quel letto ufficiale il re dormiva ben poco: finita la cerimonia si rialzava e raggiungeva la consorte o l’amante con cui passava la notte, ma al mattino tornava nel proprio letto per la cerimonia del “lever”. In sostanza il re doveva testimoniare al mondo che era in buona salute e tutto procedeva bene per la Francia: la malattia del re, quando c’era, diventava subito un segreto di Stato.
Per la gente normale la stanza da letto è il trionfo della privacy, ma ciò che noi oggi diamo per scontato è in realtà costume relativamente recente e non universale: i giapponesi ignorano la camera da letto e ancora nell’Ungheria ottocentesca, per restare in Occidente, la sera si usavano le panche per sedersi trasformate in letti. Comunque il senso è chiaro e persino la Camera parlamentare sostituendo il Foro, l’assemblea popolare in piazza, suggerisce l’idea di un luogo più appartato.
Diritto alla privacy
Virginia Woolf desiderava ardentemente avere una stanza tutta per sé e anche Kafka si lamentava perché in casa aveva una stanza di passaggio dove veniva di continuo disturbato. Per questo amava gli alberghi. Il diritto alla privacy diverrà un diritto quasi per tutti, ma ancora in pieno Ottocento nelle campagne francesi le famiglie dormono in una stanza comune riscaldata male da un camino. Prosper Mérimée annotava: «In Francia le porte si chiudono male» e Jules Renard parla di «lenzuola fredde, umide». Si andava a letto coperti dai piedi alla testa, ma il gelo non risparmiava nessuno. Una storia dei letti da quelli a baldacchino a quelli chiusi come armadi, accompagna inevitabilmente l’evoluzione della camere, appunto, da letto. Le stanze comuni verranno riproposte in versione aggiornata durante il comunismo sovietico. Ancora nel 1980 a Mosca il 40 per cento degli appartamenti sono condivisi e nessuno ha diritto a veri spazi individuali, nemmeno per dormire. Un disastro, un’utopia fallimentare che in realtà perpetuava i disagi di sempre della popolazione più umile, con tutti gli svantaggi della promiscuità. La camera da letto coniugale si afferma un po’ dappertutto a partire dal 1840. Nelle classi economicamente più deboli i futuri sposi risparmiano per potersi comperare il letto matrimoniale e le cronache raccontano di una giovane che sfregia il proprio uomo con del vetriolo perché ha dilapidato i soldi destinati a quell’acquisto. Il Novecento industriale con i suoi letti di ferro, leggeri e poco costosi, renderà molto più semplice l’allestimento della camera matrimoniale. I mobili, più o meno in serie, impongono l’armadio guardaroba con gli specchi. Le trasformazioni riguardano anche le pareti, che conoscono presto l’arte popolare delle tappezzerie dipinte per poi tornare a colori più tenui e, si pensa, riposanti. Sulla camera coniugale veglia la Chiesa, ossessionata dal sesso fine a se stesso e prodiga, nel tempo, di consigli e manuali di comportamento.
Michelle Perrot non lo cita, ma a noi torna in mente il poema di Attilio Bertolucci intitolato proprio La camera da letto (1984 e ‘88) metafora ed emblema della storia della famiglia e dell’autore stesso. Col passare del tempo le famiglie destinarono anche camere apposite ai bambini, dei veri e propri bazar, e agli adolescenti. In particolare le camere delle ragazze si ispiravano alla stanza della Vergine raccolta in preghiera in attesa dell’Annunciazione raccontata dai pittori del Quattro e Cinquecento.
Vita in albergo
Ma se la maggior parte delle famiglie borghesi cercava la privacy delle proprie camere c’era anche chi detestava la vita borghese. Sartre e un po’ anche Simone de Beauvoir, per esempio, preferivano lavorare nei caffè. Sartre disse esplicitamente che non avrebbe mai sopportato di possedere un appartamento con dei mobili e tutto il resto. Restavano dunque gli alberghi. La storia degli alberghi e degli hotel raccontata dalla Perrot, somiglia a quella delle case contadine e borghesi: all’inizio sporcizia, promiscuità e servizi igienici assolutamente inadeguati, poi, pian piano, il confort e il decoro si diffondono e nascono addirittura, nell’Ottocento, per i più ricchi, i grandi alberghi come il Ritz. C’era chi sceglieva di vivere in albergo e anche chi sceglieva di morirci. […]
Il viaggio intorno alla camera, per parafrasare il titolo di Xavier de Maistre, è un viaggio intorno ad un universo. È una camera anche la cella del frate e quella, sovraffollata, del carcerato. Nel suo discorso per il Nobel Orhan Pamuk ha ricordato che per lui scrivere è innanzitutto chiudersi in una stanza e tuffarsi dentro se stesso.
Michelle Perrot, Histoire de chambres, Seuil, pp. 450, € 22.
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