giovedì 5 luglio 2012

Labirinti



Bertolomeo Veneto [1502-1556], Ritratto dell’uomo con il labirinto, Cambridge
"Se l’immagine del labirinto ha una storia millenaria questo significa che per migliaia di anni l’uomo è stato affascinato da qualcosa che in qualche modo gli parla della condizione umana o cosmica. Esistono infinite situazioni in cui è facile entrare ma è diffìcile uscire, ed è diffìcile pensarne altre in cui sia diffìcile entrare ma facilissimo uscirne. L’unica che potrebbe adattarsi a quest’ultimo modello è forse la situazione delle situazioni, la vita individuale, con i suoi nove lunghi mesi d’ingresso, i travagli del parto, e in uscita la certezza (sia pure induttiva) della morte. Eppure è tipico della vita quello spazio intermedio (magari brevissimo) in cui si vaga, senza ben sapere dove si vada e perché, e cosa si incontrerà al centro, o in uno dei suoi mille imprevedibili snodi. E poi, da un altro punto di vista, nella vita si entra facilissimamente, anzi vi si è «gettati ».  Se poi l’uscita sia così facile, e se sia realmente un’uscita, ahimè, abbiamo inviato tanti esploratori  in avanscoperta, ma disponiamo di pochi rapporti attendibili… No no, «hunc mundum tipice laberinthus denotat iste… ». [...] Tanto per cominciare, ci sono diversi tipi di labirinto. Santarcangeli ne elenca moltissimi, ma per comodità di discorso vorrei identificare tre modelli fondamentali. 
Il primo è il labirinto detto «unicursale»: a vederlo dall’alto sembra un intrico indescrivibile e a percorrerlo si è presi dall’angoscia di non poterne mai più uscire, ma in effetti il suo percorso è generabile con un algoritmo molto semplice, perché altro non è che un gomitolo a
due capi, e chi vi entra da una parte non potrà che uscire dall’altra. Questo è il labirinto classico che non avrebbe bisogno di filo d’Arianna perché è il filo d’Arianna di se stesso. Per questo al centro ci dovrà essere il Minotauro, per rendere l’intera faccenda meno monotona. Il problema posto da questo labirinto non è «da quale parte uscirò?» bensì «uscirò?» ovvero «uscirò vivo?» Questo labirinto è l’immagine
di un cosmo difficile da vivere, ma tutto sommato ordinato (c’è una mente che lo ha concepito).
Il secondo tipo di labirinto è quello manieristico: se sfilate il labirinto classico unicursale vi trovate tra le mani un filo, ma se riuscite a dipanare il labirinto manieristico non vi trovate tra le mani un filo, bensì una struttura ad albero, con infinite ramificazioni, il novantanove per cento delle quali porta a un punto morto (solo un corno di un solo dilemma binario porta all’uscita). Labirinto difficile, perché può accadervi di tornare all’infinito sui vostri passi, e che impone calcoli complessi per trovare una regola che consenta di individuare l’uscita. In teoria la regola c’è, perché il labirinto manieristico, anche se ha un interno assai complesso, ha un dentro e un fuori.
Terzo viene il rizoma, o la rete infinita, dove ogni punto può connettersi a ogni altro e la successione delle connessioni non ha termine teorico, perché non esiste più un esterno o un interno: in altri termini, il rizoma può proliferare all’infinito. Inoltre potremmo immaginarlo come una palla di burro, senza confini, all’interno della quale posso perforare senza troppa fatica una parete che separa due condotti creando per ciò stesso un nuovo condotto. Il che equivale a dire che nel rizoma anche le scelte sbagliate producono soluzioni e insieme  contribuiscono a complicare il problema. Se anche una Mente può aver pensato il rizoma, non ne avrà però pensata e stabilita in anticipo la struttura. Il rizoma è come un libro in cui ogni lettura cambi l’ordine delle lettere e produca un nuovo testo. E se l’idea di rizoma è molto recente, quella di un libro simile è molto più antica, tanto che la troviamo nella tradizione cabalistica (anche se per i cabalisti rimaneva ferma la fede in una struttura finale del libro, che avrebbe dovuto adeguare il progetto iniziale della creazione).
Ora possiamo dire che tutto il Pensiero della Ragione, dalla Grecia sino alla scienza ottocentesca, si è proposto come pensiero di una Legge   di un Ordine che dovrebbe ridurre la complessità del Labirinto. Il Labirinto veniva evocato dall’immaginazione, mentre il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo. [...]
Una caratteristica di molto pensiero contemporaneo è invece quella di elaborare tecniche di Ragionevolezza per muoversi nel Labirinto,  senza rimuoverne l’immagine, senza volerlo ridurre a un ordine definitivo e tuttavia senza abdicare alla necessità di disegnarvi percorsi  praticabili. Agli opposti ideali dei Distruttori del Labirinto e delle Vittime (magari complici) del Labirinto, possiamo contrapporre una  scienza media che si propone di convivere umanamente col e nel labirinto”.

U. ECO, Prefazione a P. Santarcangeli, Il libro dei labirinti, SPERLING & KUPFER EDITORI, MILANO
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