giovedì 12 luglio 2012

Gustav Klimt: Giuditta e Salomè

Alfred Weidinger, "Sole 24 Ore", 25 marzo 2012


La Giuditta di Gustav Klimt fu presentata pubblicamente per la prima volta nel 1901, alla decima mostra della «Secessione viennese». Poiché il relativo catalogo non contiene l'opera, e poiché tuttavia, come si evince da una recensione della mostra apparsa nella «Neue Freie Presse» il 4 aprile 1901 e dalla lista delle opere vendute pubblicata in «Ver Sacrum», essa era stata ceduta qualche giorno prima all'artista Ferdinand Hodler, è da supporre che al momento dell'inaugurazione (15 marzo 1901) non fosse ancora pronta e che sia stata inserita nell'esposizione solo in un secondo momento.
La causa di ciò risiede nella notevole lentezza dell'asciugatura del collante sotto le zone del dipinto rivestite di foglia d'oro. Che Klimt avesse infine cercato di accelerare i tempi è dimostrato dalle parziali cancellazioni – soprattutto nella zona delle scaglie a mo' di paesaggio – della pittura a olio, senz'altro male aderente all'oro . Altre zone della Giuditta, che assai probabilmente Klimt trasferì nel dipinto da una fotografia, furono modellate con pennellate piccole e fitte, l'una sopra e accanto all'altra.
La cornice con l'iscrizione «Judith und Holofernes» fu realizzata da Georg Klimt secondo un progetto del fratello Gustav. Studi contenuti nel taccuino appartenente al lascito di Sonja Knips illustrano le fasi evolutive di questa cornice in legno duro, profilata, successivamente dotata di applicazioni in rame sbalzato e dorato, e attestano contributi non privi di importanza alla genesi del dipinto, nonché il fatto che sin dall'inizio cornice e dipinto erano stati progettati come un'opera unitaria. Dagli schizzi si ricava che sin dal primo momento la composizione complessiva era ampiamente stabilita.
Uno studio a matita dimostra quanto fossero importanti per Klimt sin dall'inizio l'accentuazione delle labbra della Giuditta e la raffigurazione del suo ombelico. Il confronto col dipinto finito mostra inoltre, a differenza del disegno stesso, una testa leggermente volta di lato, un avambraccio con un bracciale e, soprattutto, il petto perfettamente coperto da un abito di chiffon. Il disegno sottostante – visibile attraverso la fotografia a infrarossi – attesta inoltre l'intenzione originaria di Klimt di nascondere il petto nudo con il braccio destro della donna.
Il tema della Giuditta è tratto dal libro veterotestamentario apocrifo di Giuditta. Nel momento in cui truppe assire assediano Betulia, città giudea di confine, e la situazione si fa critica, Giuditta, vedova giovane e pia, entra disarmata nell'accampamento di Oloferne – che rimane sedotto dal suo fascino – e lo decapita con la sua spada. Il libro biblico descrive Giuditta come l'incarnazione del coraggio e della risolutezza. Nel contesto cruento della decapitazione del comandante dell'esercito babilonese, la sua «bella figura» e il suo «aspetto fiorente» offrirono agli artisti, a partire dal tardo Medioevo, materiale iconografico assai intrigante. Poiché Manasse, suo marito, le aveva lasciato una notevole ricchezza, nelle raffigurazioni artistiche essa è, di regola non solo bella ma vestita sontuosamente, e abbondantemente ingioiellata.
Gustav Klimt preparò l'opera con particolare cura, leggendo nei dettagli la storia biblica per interpretarla correttamente nel dipinto. Non solo. Le decorazioni ritmiche e gli alberi sullo sfondo dorato non sono invenzioni ornamentali ma costituiscono un paesaggio preciso che il pittore riprese dal cosiddetto «Rilievo Lachisch» recuperato durante scavi effettuati a Ninive tra il 1846 e il 1851. La Giuditta di Klimt manifesta poi un segno assai tipico di una particolare fase creativa dell'artista, ovvero la raffigurazione – sperimentata tra l'altro nell'allegoria della Medicina – di volti resi leggermente sfuocati. Così, anche Giuditta, con la testa appena volta verso l'alto, le palpebre socchiuse e uno sguardo tra il pigro e il lascivo, si impone come una figura altamente seduttiva.
La bocca socchiusa e le rosse labbra fanno pensare a certi sensuali ritratti femminili di Fernand Khnopff che a Vienna riscuotevano grande successo. L'aura di sensualità di Giuditta è alimentata dal contrasto tra la sontuosa decorazione aurea e la pelle nuda. Il collare, opulento d'oro e di pietre colorate, separa la testa di Giuditta dal resto del corpo. Klimt rinuncia completamente agli attributi tradizionali di questa eroina (la spada, la serva che l'accompagna, eccetera) e quasi spinge fuori del quadro la testa mozzata di Oloferne. L'intonazione decadente del ritratto – che non è tanto quello di una liberatrice bensì di un'odalisca altera e sensuale –, conferma l'idea che Klimt intendesse rappresentare in realtà una femme fatale.
Si disse che i tratti fisiognomici di questa Giuditta fossero quelli del prestante soprano Anna von Mildenburg, celebrata interprete wagneriana, amante di Gustav Mahler e, dal 1901, «imperial-regia cantante da camera» all'Opera di Corte viennese. Tra le sue numerose storie amorose gliene si attribuì una anche con Klimt. In effetti, dal confronto tra il volto della Giuditta e fotografie coeve di Anna von Mildenburg si rileva senz'altro una certa somiglianza. Allo scrittore Felix Salten dobbiamo una descrizione contemporanea del dipinto: «La Giuditta di Klimt illustra dettagliatamente il tratto moderno del suo lavoro: è una bella jour-dame come la si può incontrare ovunque, quella che attira gli sguardi maschili alle première, incantevole nel suo vestito di seta.
Una femmina snella e flessuosa, con un fuoco conturbante nei suoi sguardi tenebrosi, con una bocca crudele e con pinne nasali che scatenano passioni. In questa femmina seducente sembrano sonnecchiare forze misteriose, energie, impeti che, una volta accesi, un bravo borghese non potrebbe più spegnere. Qui, un artista sfila a una di queste donne le sue vesti eleganti e ce la mostra nello splendore della sua nudità senza tempo».

Se il tema della Giuditta con la testa di Oloferne era tra i preferiti dai pittori della seconda metà del XIX secolo, la Salomè di Oscar Wilde, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1896. La traduzione in tedesco da parte di Hedwig Lachmann dell'opera di Wilde facilitò la diffusione del tema in area germanica a tedesca. Su iniziativa del poeta viennese Anton Lindner, a partire dal 1901, la Salomè di Oscar venne messa in musica da Richard Strauss (la prima rappresentazione ebbe luogo nel dicembre 1905 all'Opera di Corte di Dresda). Stimolate dall'opera di Strauss e probabilmente anche dalla messinscena di Max Reinhardt del 1904, le maggiori ballerine del tempo cominciarono a studiare il ruolo di Salomè. A cavallo tra il 1906 e il 1907, erano a Vienna contemporaneamente tre delle più famose rappresentanti della danza espressiva, e tutte e tre avevano nel loro repertorio la danza di Salomè. La canadese-americana Maud Allan si esibì privatamente come Salomè nella Secessione, e pochi dopo, sempre privatamente, all'Opera di Corte alla presenza di Gustav Mahler (nelle esibizioni in privato, di regola, le ballerine erano sempre un po' meno vestite).
Nel 1906 il pittore e scultore tedesco Franz von Stuck eseguì, da modelli fotografici, tre varianti sul tema Salomè. Una delle fotografie dell'attrice austriaca Lili Marberg nei panni di Salomè, scattate da Stuck, arrivò fino a Klimt. Come Franz von Stuck, anche Klimt dipinse spesso da fotografie; tale fu il caso della sua Salomè realizzata nel 1909. Egli non solo riprodusse la posa fotografica, con la parte superiore del corpo piegata in avanti ma trasferì in un formato fortemente verticale il rivestimento parietale oblungo che incornicia la figura della Salomè e che Stuck inserisce sullo sfondo a scopo di contrasto.


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