Dalla prefazione di Ernesto Ferrero a «Memorie della campagna d'Italia» di Napoleone Bonaparte, Donzelli, 2012, "Domenicale" del "Sole 24 ore", 13 maggio 2012
In principio era il Verbo. Nessun grande statista o condottiero come Napoleone ha posto al centro del proprio sistema operativo e della propria azione di governo la parola. Lucidissimo analista di se stesso, e profondo conoscitore degli uomini, lo spiega a Metternich nel giugno del 1813. I sovrani «nati sul trono» possono lasciarsi battere venti volte in battaglia e rientrare sempre nelle loro capitali. Lui no, perché è «un soldato parvenu». La ricerca, la manipolazione e la manutenzione del consenso rappresentano per lui una necessità primaria. Autocrate di impressionante modernità, sa che è molto più economico gestire il potere attraverso il consenso che attraverso un apparato poliziesco e repressivo: «La forza è una legge animale, è la convinzione a guidare gli uomini». Ancora: «Una gran reputazione produce un gran frastuono. Più se ne fa, più arriva lontano. Leggi, istituzioni, monumenti, nazioni, tutto passa. Ma quel frastuono rimane, rimbomba nelle altre generazioni». Non soltanto: l'opinione di noi che imprimiamo negli altri è un potente fattore di governo, di stabilità, di crescita. L'adesione, il convincimento, addirittura l'entusiasmo possono trasformare i sudditi in collaboratori che si sentono partecipi di un forte progetto condiviso.«L'opinione pubblica – riflette – è una potenza invisibile, misteriosa,alla quale nulla resiste. Nulla è più mobile, più vago e più forte; e benché sia capricciosa, resta tuttavia vera, ragionevole, giusta, molto più spesso di quanto si pensi». Con la caduta dell'Ancien Régime la potenza invisibile ma reale dell'audience diventa soggetto politico.Napoleone le dedica le cure assidue e le innovazioni che fanno di lui l'inventore delle moderne tecniche di comunicazione di massa, il modello che sarà attentamente studiato dai dittatori del Novecento.
Ogni anno quest'uomo deve convincere almeno 200 000 uomini ad arruolarsi e battersi nella guerra senza fine che lo oppone agli antichi regnanti d'Europa. Prima d'ogni battaglia deve motivare i suoi uomini («Vinco le mie battaglie con i sogni che i miei soldati fanno quando dormono»). Anche in caso di vittoria deve prepararli all'impresa successiva, perché il fattore sorpresa e la gestione del tempo sono i cardini della sua strategia (il quam maximis potest itineribus di Cesare, le marce forzate che ti portano là dove il nemico non ti aspetta). Ma non c'è solo la guerra. Napoleone deve conquistare anche i civili, da coinvolgere in un'opera impetuosa di ammodernamento delle strutture dello Stato.
Il fronte interno non è certo meno importante di quello bellico, e il novello imperatore si comporta da avveduto ministro della Giustizia (il Codice Civile), dei Beni culturali (l'invenzione del Louvre), dell'Economia (i provvedimenti per rilanciare le industrie).
Napoleone sa cambiare prontamente registro a seconda degli interlocutori. Ogni sua parola obbedisce a una calcolata funzionalità. Con i soldati diventa uno di loro, parla un linguaggio schietto, diretto, ma anche immaginifico. Con Goethe discetta di letteratura, dopo essersi preparato accuratamente (interrompe spesso l'interlocutore per portare il discorso sul terreno che gli è più congeniale). Con lo zar Alessandro si atteggia a umanista, bibliofilo e philosophe. Nei salotti mondani, che frequenta malvolentieri, affronta questioni gravi per far intendere che è impermeabile alle fatuità cui si abbandonano gli uomini comuni, e che nessuno può contare sulla sua compiacenza. Dotato di una memoria di impressionante vastità e precisione, è capace di organizzare le sue letture in altrettanti files tematici da cui preleva ogni volta quello che gli serve per colpire il suo pubblico.
È nella comunicazione diretta ai soldati che Napoleone trova accenti più efficaci. Li innalza al ruolo di protagonisti, li motiva, li sprona promettendo gloria e soprattutto bottino. È giustamente celebre il discorso rivolto alla sgangherata armata, mal equipaggiata e peggio nutrita, che il ventiseienne generale sta per condurre alla prima campagna d'Italia: «Soldati, siete nudi, malnutriti. Il governo vi deve molto, e non può darvi niente. La vostra pazienza, il coraggio che mostrate in mezzo a queste rocce, sono ammirevoli, ma non vi procurano la gloria, non vi danno splendore. Io voglio condurvi nelle più fertili pianure del mondo. Ricche province, grandi città saranno in vostro potere. Vi troverete onore, gloria e ricchezze. Soldati d'Italia, mancherete dunque di coraggio e determinazione?». E più avanti, quando una impressionante catena di vittorie lo porta a minacciare addirittura il Veneto e a ventilare una marcia su Vienna, si preoccupa di tenere alta la tensione dei suoi, di spingerli a traguardi sempre nuovi, di sollecitare le loro ambizioni come in una corsa senza fine verso una gloria mai raggiunta prima.
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