Alessandria, La distruzione della Biblioteca |
L. X. Polastron, Libri al rogo. Storia della distruzione infinita delle biblioteche, Bonnard, 2006
Leggi qui.Berlino, Bebelplatz |
Storia dei libri in fiamme
Intervista a Lucien X. Polastron, di Fabio Gambaro
“La Repubblica”, 15 giugno 2004
Dal saccheggio della biblioteca di Tebe, nel 1358 avanti Cristo, a quella di Bagdad, nel 2003. Più di tremila anni di roghi e distruzioni. Una lunga storia di offese al libro e alla cultura che finora non era mai stata raccontata nella sua globalità. Lucien X. Polastron, studioso francese, già autore di un apprezzato libro sulla carta, Le papier, 2000 ans d´histoire, ha provato a colmare questa lacuna. Nelle librerie francesi è giunto così Livres en feu (Deno l, pagg.430), un volume molto documentato che ricostruisce la «storia infinita della distruzione delle biblioteche», mostrando «i molti volti della barbarie» che, fin dalla più lontana antichità, ha preso di mira le pagine scritte e i luoghi in cui queste vengono custodite. «Ho iniziato a lavorare a questo libro nel 1992», racconta Polastron, «subito dopo l´incendio della biblioteca di Sarajevo. Gli autori di quell´atto criminale colpirono intenzionalmente la biblioteca per cancellare il carattere multiculturale del paese, di cui essa era il simbolo. Ripetevano così i gesti che i passato erano stati dei nazisti e di tutti coloro che, in ogni epoca e ad ogni latitudine, avevano preso di mira la cultura scritta.
Nel suo libro gli esempi non mancano...
«E´ una storia molto più ricca di quanto non si creda. Gli uomini infatti non appena si mettono a costruire le biblioteche, quasi contemporaneamente iniziano a distruggerle. Per Borges, la biblioteca nasce da un processo che non si conclude mai. Una biblioteca infatti non è mai finita. Allo stesso modo, anche la storia delle catastrofi che colpiscono le biblioteche è una storia infinita. Cambiano solo le modalità. Più le biblioteche sono grandi e più i rischi diventano importanti. Naturalmente ci sono le catastrofi naturali o gli errori umani, ma molto spesso la distruzione del patrimonio scritto è un atto deliberato.
Quali sono le motivazioni più frequenti?
«Il libro contiene una memoria e una cultura di cui ci si vuole sbarazzare. Colpendo i libri, si colpiscono le persone che li hanno scritti e letti. E´ successo molte volte nella storia e continua a succedere ancora oggi. Recentemente, a Poona, in India, nel rogo di una biblioteca sono andati persi 30.000 volumi. Un gruppo d´indù voleva purificare i luoghi, solo perché un ricercatore americano vi aveva lavorato, formulando alcuni dubbi sulla parentela di un re a loro sacro. Per gli indù quel re era una divinità e quindi il dubbio sulle sue origini è stato considerato un atto di blasfemia. La profanazione era quindi da punire col fuoco. Nel rogo sono andati persi molti libri rari della tradizione indù, ma probabilmente gli incendiari non si sono neppure resi conto del danno che stavano facendo alla loro cultura.
Quando avvennero le prime distruzione di biblioteche?
«Nell´antico Egitto. Akhenaton distrusse la biblioteca di Tebe nel 1358 avanti Cristo. Aveva introdotto il monoteismo e, siccome pensava di detenere la verità, pensò di fare tavola rasa delle tradizioni religiose che lo avevano preceduto. I testi scritti dai sacerdoti di Tebe, che menzionavano altri dei, vennero distrutti. Akhenaton fece anche costruire una nuova biblioteca, che però, alla sua morte, venne incendiata dai sacerdoti per vendetta. All´origine degli attacchi alle biblioteche c´è sempre un odio politico-religioso, un odio nei confronti degli uomini che viene trasferito sulle opere scritte. Il sociologo Leo Löwenthal, poco prima di morire, ne ha persino tratto una riflessione psicanalitica, che però è rimasta solamente abbozzata.
Tutti conoscono il rogo della biblioteca di Alessandria. Che può dirne?
«Ad Alessandria, dove per la prima volta venne distrutta una biblioteca universale, sono nati contemporaneamente il mito della biblioteca e quello della sua distruzione. Molto probabilmente la biblioteca fu distrutta più volte, in parte o completamente, anche se poi il mito ha tramandato solo il rogo del 48 avanti Cristo. Quel primo incendio fu un danno collaterale della guerra. Cesare infatti non aveva alcuna intenzione di distruggere la biblioteca, più realisticamente pensava di rubarne le opere per portarle a Roma. Purtroppo, durante le guerre, le biblioteche rischiano sempre il saccheggio. Quando l´esercito dei vincitori occupa il territorio nemico sente il bisogno di colpire la tradizione intellettuale degli sconfitti. In particolare quella depositata nei libri. Lo hanno fatto i Mongoli, nel 1258, quando hanno raso al suolo le trentasei biblioteche di Bagdad. E meno di un secolo prima, Saladino, che voleva cancellare ogni traccia degli sciiti, mise a sacco la famosa biblioteca fatimida del Cairo, vendendone tutti i libri per pagare i suoi soldati.
Durante le crociate vennero distrutte delle biblioteche?
«Sì, ad esempio a Tripoli e a Costantinopoli. I cavalieri cristiani saccheggiavano per spirito di rapina, ma quando il bottino non sembra loro interessante, allora bruciavano tutto. Anche gli uomini della chiesa hanno molto contribuito a quest´opera di distruzione, nel tentativo di far scomparire la religione islamica. Più tardi l´accanimento nei confronti dei libri diventerà più sistematico.
Quando?
«Nella Spagna del XVI e XVII secolo, dove le biblioteche hanno tremendamente sofferto. L´inquisizione, animata anche da un forte razzismo nei confronti di arabi ed ebrei, ha organizzato molti roghi di libri. Non a caso, gli spagnoli hanno reso tristemente celebre la parola portoghese autodafè. Torquemada, Cisneros e molti altri vescovi hanno mostrato una furia senza pari nei confronti della pagina scritta. Inoltre, nel Nuovo Mondo gli spagnoli hanno cancellato tutte le tracce scritte delle civiltà anteriori. Il patrimonio scritto dei Maya e degli Atzechi era considerato opera del diavolo e come tale andava bruciato.
Talvolta, i biblioclasti sono al contempo bibliofili...
«E´ vero. L´imperatore cinese Qin Shi Huangdi, nel 213 avanti Cristo, unifica la scrittura e costruisce un´importante biblioteca, ma al contempo fa bruciare tutte le raccolte di testi del passato. Papa Leone X, colui che nel 1515 mise all´indice i libri considerati pericolosi, fu un bibliofilo appassionato che riunì nella sua biblioteca privata testi rarissimi provenienti dalle biblioteche di tutta Europa.
La pratica di arricchire le biblioteche con testi derubati altrove è molto diffusa?
«Moltissimo. Le Bibliothéque Nationale de France e la British Library contengono una gran quantità di opere rubate. Si pensi a tutti libri razziati da Napoleone in Italia, in Spagna o in Egitto. Anche la colonizzazione dell´Oriente ha permesso di portare in Europa migliaia di testi. La Cina, ad esempio, oggi reclama la restituzione di numerose opere che appartengono al suo passato, ma i francesi e gli inglesi per il momento non vogliono restituirli. Durante la seconda guerra mondiale, i nazisti si servirono senza scrupoli nelle biblioteche dei paesi occupati.
A proposito dei nazisti, lei ha messo in luce un episodio poco conosciuto...
«Come tutti sanno, a partire dal 1933, i nazisti organizzarono l´autodafè delle opere di autori ebrei e comunisti. Ma qualche anno dopo, per ordine diretto di Hitler, iniziarono a costituire un´importante biblioteca di testi della tradizione ebraica. Diversi specialisti furono sguinzagliati nelle biblioteche di tutta Europa, per saccheggiare le sezioni Judaica ed Hebraica. Riuscirono a raccogliere così tre milioni di volumi che furono trasportati a Francoforte. Nessun´altra biblioteca ebraica aveva mai raggiunto una tale dimensione. Lo scopo di tale operazione era lo studio del segreto degli ebrei. Naturalmente era un fantasma di Hitler, ma in quel modo molti libri preziosissimi furono salvati dalla distruzione. Alla fine della guerra la biblioteca è stata dispersa. Molte opere sono state restituite ai legittimi proprietari, come ad esempio i volumi delle sei biblioteche parigine della famiglia Rothschild. I libri rimasti senza proprietari sono finiti negli Stati Uniti, alla Library of Congress.
Vennero razziate anche le biblioteche italiane?
«C´è un episodio noto. A Roma, due giorni prima della famosa retata del 16 ottobre 1943, i nazisti entrarono nella sinagoga del ghetto e portarono via due vagoni pieni di volumi rari. Il poeta Heinrich Heine - in una pièce dedicata ad Almanzor, colui che nel 980 a Cordoba fece bruciare la biblioteca dei califfi - ha scritto che, quando gli uomini cominciano a bruciare i libri, prima o poi finiscono per bruciare gli uomini. Mai profezia fu così tristemente vera».
Masereel, Libri al rogo |
La cultura tedesca bruciò nella notte del 10 maggio 1933. Hitler era diventato cancelliere il 30 gennaio di quell’anno, nel marzo l’incendio del Reichstag aveva aperto la strada ad arresti e repressioni di ogni genere. Erano state da poco varate le prime leggi antiebraiche, e da pochi giorni erano stati sciolti tutti i partiti di opposizione. Il 10 maggio organizzati dalle associazioni studentesche naziste sotto l’accorta regia del ministro della propaganda nazista Goebbels, oltre cinquantamila libri furono pubblicamente arsi in piazza, a Berlino e in molte altre città tedesche. Erano le opere degli scrittori ebrei e di quelli, pur non ebrei, influenzati dalla cultura ebraica, le opere degli intellettuali della Repubblica di Weimar, di giornalisti, scienziati.
Erano i libri che i nazisti definivano ' non tedeschi'. E data l’indubbia egemonia della cultura tedesca in quegli anni, era la cultura europea tutta che bruciava in quei roghi, un’Europa impotente a difendere le opere dei suoi scrittori dei suoi filosofi, dei suoi scienziati come poi sarebbe stata a lungo impotente a difendere i suoi cittadini. La liturgia della cerimonia fu accurata, come tutte le ritualità inventate dal nazismo per affascinare e trarre a sé le masse. Nelle foto del tempo, sono i roghi stessi a dominare la scena, e la violenza dell’atto.
Ma qualche descrizione ci mostra la folla, ottusa e istupidita, che leva il braccio nel saluto nazista, canta gli inni, mangia salsicce, inneggia agli studenti in divisa bruna che ad ogni libro gettato nel rogo ne proclamano la condanna a gran voce: «Contro la sopravvalutazione dei bassi istinti a detrimento dello spirito e in nome della nobiltà dell’anima umana, io consegno alle fiamme gli scritti di Sigmund Freud», e via di questo passo, con Einstein e Marx, Werfel, Thomas ed Heinrich Mann, Stefan e Arnold Zweig, Schnitzler e Musil, Heine e Brecht, Remarque e Feutchwanger, Benjamin e Liebermann, per non citare che i più famosi. Arnold Zweig ci racconta delle carrette che trasportavano i libri, delle cataste ordinate prussianamente, della pioggia che minacciava di spegnere le fiamme. Egli decise quella notte di emigrare e scelse la Palestina. Non erano molti gli scrittori presenti tra la folla al rogo dei loro libri. Molti erano già emigrati in quei brevi mesi che avevano seguito l’avvento del nazismo. La sorte degli intellettuali austriaci doveva attendere l’Anschluss del 1938 per diventare drammatica. Allora, i nazisti austriaci avrebbero devastato lo studio del vecchio Freud, che sarebbe stato
Llasciato libero di emigrare solo dopo essere stato riscattato a peso d’oro dalla principessa Marie Bonaparte, sua allieva.
A Berlino, invece, non ci furono dilazioni. Max Liebermann, il grande pittore impressionista, presidente dell’Accademia prussiana di Belle arti, morì prima di essere arrestato, ma la sua vedova si suicidò per sottrarsi all’arresto. Theodor Wolff, Hannah Arendt, Walter Benjamin e molti altri fuggirono a Parigi o negli Stati Uniti. Parigi diventò il centro dell’emigrazione degli intellettuali ebrei tedeschi, fino a quando l’invasione nazista non impose anche lì la sua legge di morte.
Benjamin si suicidò alla frontiera con la Spagna, alla soglia della salvezza.
Molti altri si tolsero la vita, in Germania o nell’emigrazione, come ricorda in un suo scritto americano Hannah Arendt. Il cuore della cultura europea, Berlino, aveva perduto la sua anima, ma il trasferimento di quest’anima in altre terre, in altri mondi, fu tutt’altro che indolore. Gli ebrei tedeschi si sentivano profondamente tedeschi, e fino a quando Hitler non impose loro di essere soltanto ebrei si sentivano più tedeschi che ebrei. La nostalgia, oltre al dolore e allo spaesamento, fu devastante. Ma oltre agli ebrei, c’erano gli intellettuali non ebrei accusati di essere ' decadenti', degenerati.
A tutti costoro, primo fra tutti Thomas Mann, il regime nazista tolse la cittadinanza.
Così gli autori dei libri bruciati il 10 maggio 1933 condivisero la sorte, o almeno il dolore, di quell’esecuzione.
Realizzando una profezia, fatta nel 1817, in occasione di un altro rogo fatto da studenti tedeschi, da un altro degli autori bruciati sul rogo, Heinrich Heine: « Là, dove si bruciano i libri, si finisce col bruciare anche gli uomini » . Heine era morto molto prima di tutto questo, esule a Parigi nel 1848, quando l’amore della nazione era ancora difesa della volontà di essere liberi e non desiderio di sopraffazione. Con il rogo delle sue opere, Hitler saldava il presente al rifiuto del passato glorioso della grande cultura tedesca, tagliava tutti i ponti con la storia tedesca. Come diceva Goebbels nella notte del rogo: « Fate bene, in quest’ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del passato. È un’impresa forte, grande e simbolica, un’impresa che proverà al mondo intero che le basi intellettuali della repubblica di Novembre si sono sgretolate, ma anche che dalle loro rovine sorgerà vittorioso il padrone di un nuovo spirito ».
"Avvenire", 9 agosto 2009
1933: il rogo dei libri a Berlino (video)
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