lunedì 16 luglio 2012

Uncreative writing


Diego Marani, Internet e la scrittura non creativa
Questo articolo è interamente copiato e sicuramente lo avete già letto. Ma d’ora in poi dovete abituarvi. Il mito dell’originalità è morto. Tutto è già stato scritto, ogni parola già spesa milioni di volte. Allo scrittore non resta che riformulare. Questa è la nuova poetica del secolo wireless, che non lascia tracce, vola con l’iCloud e dura come la bolla di un blog. Nel suo nuovo saggio sulla scrittura “increativa”, Kenneth Goldsmith celebra la scrittura automatica nello stile dell’Ouvroir de Littérature Potentielle di Queneau e proclama alto e forte che nel tempo della gift-economy il copyright è finito. Scrivere non è più creare ma riciclare, riformulare, riadattare. E’ un’arte cui eravamo già dediti quando a scuola copiavamo la versione di greco in dieci modi impercettibilmente diversi ma oggi riceve le sue lettere di nobiltà e non azzardatevi a chiamarla plagio: si dice patchwriting. Va bene qualsiasi testo, dal bollettino del mare all’elenco dei prodotti in saldo di un supermercato: quel che conta è la ricomposizione.
Come insegna il Flarf, il nuovo movimento di scrittura nato sul web che utilizza gli scarti delle ricerche google per fare poesia. Il critico letterario Marjorie Perloff ha coniato la nuova definizione di “unoriginal genius” per lo scrittore moderno, che non è più la romantica figura dell’artista ispirato ma un sapiente raccattatesti che pesca nella spazzatura della lingua buttata via per comporre le sue opere. E poco importa che vengano lette. Quel che conta è che siano scritte. Il loro effetto l’avranno: produrranno altro testo che in altro contesto diverrà altro contenuto. Un processo non nuovo nelle arti figurative, dove da Marcel Duchamp in poi ogni oggetto della quotidianità cela un suo potenziale espressivo che sta all’artista catturare.
Accade lo stesso nella musica, dove Napster fa scuola e il karaoke è diventato un genere. Perché dunque tutto questo non deve essere vero con il linguaggio? Senza dimenticare poi che ci sono culture dove l’espressione artistica è da sempre incentrata sulla ripetizione di centoni mille volte reinterpretati, come l’ideogramma e le massime della tradizione cinese. Non per niente per i cinesi copiare è un omaggio all’originale e anche da qui viene la loro ossessione per la riproduzione dei totem del marchio occidentale. Lo spiega bene Marcus Boon nel suo saggio In praise of copyingricordando che anche la cultura occidentale si fonda sulla copia: quella romana dell’arte greca, quella degli amanuensi medievali che hanno traghettato il sapere antico nel nostro.
Consapevole di tutto questo, Kenneth Goldsmith ha aperto un corso di “uncreative writing”all’Università di Pennsylvania dove gli studenti vengono penalizzati per ogni tratto di originalità dei loro scritti e invece premiati quando dimostrano di saper riciclare testi, camuffarli, trasformarli. Insomma, il libro del futuro è già stato scritto e non importa leggerlo ma sarà divertente sgamare tutti gli altri che contiene. Del resto, sempre Goldsmith ammette che i libri che preferisce sono quelli che non ha mai letto.
Saturno, 6 gennaio 2012

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