F. Irace, Viaggio all’interno degli interni, “Il Sole 24 Ore”, 24 aprile 2011
Alla corte di Re Sole anche gli sgabelli rappresentavano un elemento strategico del l'arredo. Disposti secondo un rigido cerimoniale essi rispecchiavano una gerarchia d'uso che non ammetteva deroghe: quelle con i braccioli erano appannaggio esclusivo del sovrano e di sua moglie, alle dame d'alto rango erano riservati i tabourets, alla piccola nobiltà dei semplici cuscini. Tutti gli altri cortigiani rimanevano in piedi. Nei castelli e nelle case del tempo il concetto di privacy era del tutto sconosciuto e la nozione di interno poco più di un vago richiamo. Fu solamente con l'affermazione dell'Illuminismo che si cominciò ad apprezzare la distinzione tra le varie stanze, connotandole con specifiche funzioni, dalla camera da pranzo al boudoir. Si trattava tuttavia di una distinzione ancora limitata, messa in campo da una raffinata élite abituata a ricevere e al tempo stesso bisognosa di momenti e di spazi di riservatezza, spesso funzionali a quegli aspetti erotici della socialità così ben descritti da Pierre Choderlos de Laclos ne Le relazioni pericolose.
Paradossalmente, fu quando le città cominciarono ad essere trafficate da carrozze e tram e l'illuminazione delle strade portò gli evidenti benefici del progresso tecnologico che si sviluppò una nozione di "interno" legata all'intimità della famiglia.
Se ne accorse con acutezza Walter Benjamin quando descrisse il XIX secolo come «morbosamente legato alla casa». Con l'avvento delle rivoluzioni borghesi, infatti, fece «il suo ingresso sulla scena storica il privato cittadino», il cui spazio vitale si definiva in contrapposizione al mondo del lavoro. La modernità si afferma con l'impeto dirompente delle sue novità nelle Esposizioni, nelle stazioni ferroviarie o all'ombra dell'enigmatica Tour Eiffel di Parigi, mentre nell'interno ovattato della casa borghese si celebrano il quotidiano ritorno "all'utero" e la deroga (momentanea) alle leggi ferree dell'economia.
Parte da questo scenario l'interessante ricerca di Penny Sparke (insegnante di Storia del design alla Kingston University di Londra) che, descrivendo i mutati assetti delle varie "modernità" che hanno segnato il XIX e il XX secolo, prova a costruire il complesso quadro dei nuovi miti che alimentano gli inquieti sogni dei contemporanei del XXI secolo.
Il punto di vista è originale rispetto alle consuete storie dell'arredamento, perché privilegia su quella stilistica una prospettiva antropologica, che non considera il concetto di modernità come un'astrazione culturale ma anzi lo esamina nelle implicazioni fisiche e psicologiche dei suoi diversi attori, in primo luogo le donne che non furono solo le naturali consumatrici di "interni" ma anche il motore del loro continuo aggiornamento.
«Sebbene alcuni aspetti dello sviluppo degli interni moderni – spiega la Sparke – siano stati affrontati dagli storici dell'architettura, finora il loro ruolo nella definizione delle identità moderne ha ricevuto un'attenzione relativamente scarsa. Il presente volume si propone di riempire questo vuoto e di porre gli interni moderni al centro della costruzione del sé o del soggetto moderni».
Ma c'è anche un altro punto di vista che contribuisce all'originalità del libro, anche se a prima vista sembra contraddirne l'assunto di partenza. Se è vero infatti che l'"interno" nasce tra i fumi delle locomotive come opposizione all'ostilità del mondo meccanico, è non di meno vero che questa opposizione è più simile a un'oscillante linea d'osmosi che a un'impenetrabile trincea.
La mobilità delle donne seguita alle trasformazioni sociali indotte dalla rivoluzione industriale, fa nascere infatti l'esigenza di creare nuovi spazi – i grandi magazzini, innanzitutto, e poi i ristoranti, le sale da the, gli alberghi, eccetera – simili a «case lontano da casa», dove le donne che si avventuravano fuori le mura domestiche potessero ridefinire se stesse come consumatrici e come casalinghe. Parte da qui la spirale di una progressiva "interiorizzazione" dell'esterno, che trova la sua prima espressione nel l'idea urbanistica delle gallerie e dei passages e la sua definitiva conferma nell'ossessione contemporanea del total living, così eloquantemente rappresentata dalle sale vip degli aeroporti, dalla democrazia estetica dell'Ikea o dal realismo trash della casa trasparente del Grande Fratello.
Penny Sparke, Interni moderni. spazi pubblici e privati dal 1850 a oggi, Einaudi, Torino pagg. 254
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