martedì 22 gennaio 2013

Bobby Sands trent’anni dopo


Una serie di romanzi e di pellicole sullo storico leader dell’Ira

Rock Reynolds

"L’Unità", 22 gennaio 2013

Sono stati definiti «Troubles» i disordini dell’Ulster, l’Irlanda del Nord che, nell’ ‘81, con lo sciopero della fame dei militanti repubblicani, cambiarono per sempre il volto della storia

SONO TRASCORSI SOLO PIÙ DI TRENT’ANNI, MA SEMBRA CHE SOTTO I PONTI DI ACQUA NE SIA PASSATA MOLTA DI PIÙ. ACQUA TORBIDA E IMPETUOSA, PER GIUNTA. TALVOLTA MACCHIATA DI SANGUE. Per molti versi, il 1981 fu lo spartiacque di uno degli ultimi veri conflitti europei, bollato come poco più di una scaramuccia locale dal governo britannico, timoroso di santificarne lo status ufficiale di guerra, e invocato dai simpatizzanti della causa repubblicana come vera e propria guerra di liberazione. Stiamo parlando dei cosiddetti Troubles, i disordini dell’Ulster, l’Irlanda del Nord. Alcuni dei principali protagonisti della scena pubblica di quei giorni non ci sono più. Bobby Sands, capintesta dello sciopero della fame che nel 1981 fece saltare il tavolo su cui il governo britannico era convinto di avere pieno controllo, fu il primo martire del nuovo corso irlandese. Margaret Thatcher, la «Lady di Ferro», nemica giurata della causa repubblicana e allora primo ministro britannico, è ancora in vita, ma una malattia progressiva l’ha trasformata in una pallida immagine della donna dal polso d’acciaio e dallo sguardo glaciale che tormentava il sonno di molti leader mondiali del tempo. Altri personaggi ancora, che erano ricercati come terroristi o detestati e perseguitati in quanto esponenti di bracci politici di organizzazioni terroristiche, oggi occupano ruoli di primo piano nelle istituzioni nordirlandesi. Martin McGuinnes, per esempio, temuto e odiato vicecomandante della Brigata di Derry dell’Ira, oggi è vicepremier del governo semi-indipendente dell’Irlanda del Nord.
Ma torniamo a quel fatidico 1981. La lotta irredentista della comunità cattolica nordirlandese, ormai rassegnata a non ricevere il minimo aiuto dai fratelli della Repubblica di Irlanda, era giunta a una posizione di pericoloso stallo. Due fatti quasi contemporanei cambiarono per sempre il volto della storia: la clamorosa protesta dei membri dell’Ira e di altre organizzazioni paramilitari repubblicane rinchiusi nel carcere di Long Kesh che invocavano lo status di prigionieri politici a cui la Thatcher oppose il secco rifiuto che portò alla decisione di dare vita a uno sciopero della fame a oltranza e la decisione conseguente di candidare il leader della protesta, Bobby Sands, alla poltrona di membro del parlamento per la circoscrizione di Fermanagh e South Tyrone lasciata vacante. La determinazione, l’abnegazione e la disperazione di Bobby Sands e dei suoi compagni di protesta, da un lato, e la scelta oltranzista di Margaret Thatcher, dall’altro, furono il fuoco della campagna elettorale che portò alla elezione di Sands, che peraltro non valse a salvare la sua vita e quella di altri nove militanti. Sands non si accomodò mai sugli scranni del parlamento. Per ironia di una sorte che aveva in larga parte il volto beffardo di Margaret Thatcher, le rivendicazioni di Bobby Sands e compagni ebbero soddisfazione solo dopo la loro morte e la fine dello sciopero della fame. Il 5 maggio 1981, alla notizia della morte del «parlamentare britannico» Bobby Sands, la lady di ferro ebbe a dire, di fronte alla Camera dei Comuni: «Il signor Sands era un criminale. Ha scelto di togliersi la vita. Una scelta che la sua organizzazione non ha concesso a molte delle sue vittime». Invece, fu proprio quello sciopero della fame a decriminalizzare la figura del militante repubblicano persino agli occhi di una parte dell’opinione pubblica britannica.
Un periodo storico così complesso ed emozioni così forti hanno dato la stura a una serie di ottimi romanzi e pellicole intense. L’ultimo in ordine di tempo è La bambina dimenticata dal tempo (Uovonero, pagine 328) della compianta Siobhan Dowd, già autrice dello splendido Il mistero del London Eye. La vicenda si svolge sul duplice binario della contemporaneità (nella fattispecie, i giorni dello sciopero della fame del 1981) e del passato (duemila anni prima). Il cadavere mummificato di quella che sembra una bambina viene rinvenuto in una torbiera, sul confine sfumato tra Repubblica di Irlanda e Ulster, da Fergus, diciottenne cattolico, insieme allo Zio Tally. John Lennon, idolo di casa, è morto da un anno, ma a preoccupare la bella famiglia di Fergus è la decisione del fratello Joe, in carcere a Long Kesh per la sua appartenenza all’Ira, di unirsi allo sciopero della fame. In un crescendo di emozioni, sfumate dalla tonalità mai eccessiva scelta dall’autrice forse anche per rendere la storia adatta anche a un pubblico più giovane, la vicenda personale di Fergus, i suoi turbamenti sentimentali, le difficoltà e le speranze della sua generazione in un paese che sembra non poter mai vedere il sereno, si incrociano con la storia che noi tutti conosciamo, con il contrappunto delle pagine che rievocano la vicenda della bambina dimenticata dal tempo, una sorta di anticipazione funesta del tragico destino di un popolo. C’è pure un colpo di scena finale, come si conviene a un buon romanzo di suspense. C’è tanta umanità, come si conviene a una vicenda autenticamente irlandese, in questo romanzo e leggerlo potrebbe essere un buon viatico per approfondire le circostanze che hanno fatto dell’Irlanda del Nord uno degli ultimi baluardi della violenza settaria nell’Europa Occidentale.
Non mancano altri romanzi interessanti sull’argomento. La primavera dell’odio di Louise Dean è la storia di Kathleen, madre frustrata e repressa con due figli giovani da crescere in un ambiente difficile, un marito pusillanime e un figlio rinchiuso nel famigerato carcere di Long Kesh. È anche la storia di John, ex-militare, ora guardia giurata, con una coscienza civile e forti difficoltà ad accettare gli orrori del carcere duro. Siamo a Belfast, a pochi mesi dal famoso sciopero della fame. Anche in questo caso, aleggia sull’intera vicenda il terrore di una madre di fronte all’ipotesi che il figlio si immoli sull’altare del martirio per emulare le gesta dei compagni di prigione. Un libro sincero e poco solare, che però sa ricreare il clima di quei giorni. I romanzi Eureka Street di Robert McLiam Wilson e Resurrection Man di Eoin McNamee non si occupano strettamente di Bobby Sands e dintorni, ma offrono uno sguardo lucido sulla società nordirlandese degli anni bui della guerra civile, con un substrato di cieca violenza settaria che poco ha a che vedere con la causa.
Quanto ai film, Una scelta d’amore di Terry George, per quanto un po’ di maniera, descrive bene il dramma delle famiglie dei militanti repubblicani partecipanti allo sciopero della fame, le terribili condizioni di vita in carcere e la profonda spaccatura sociale che si venne a creare tra le famiglie di chi andò fino in fondo e quelle che decisero di far intervenire l’equipe medica del carcere, salvando il proprio caro da morte certa. La bravura di Helen Mirren e Fionnula Flanagan fa il resto. Hunger, film del 2008 votato miglior opera prima al festival di Cannes, ha quasi il piglio del documentario e lascia davvero poco all’immaginazione. D’altra parte, come ebbe a dire Laurence McKeown, che portò avanti il digiuno assoluto per settanta giorni, prima che la famiglia richiedesse l’intervento dei medici, «Hai molto sonno e sei molto stanco...Non c’era niente di coraggioso o glorioso...la morte sarebbe stata una liberazione...È letteralmente come scivolare nella morte».

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