domenica 27 gennaio 2013

Giorgio Colli è in Rete (con Socrate)


Il pensatore che ha curato le opere di Nietzsche diffidava della parola scritta
 Invitava gli allievi a dialogare tra loro e con i grandi del passato. 
Ora rivive grazie a un sito

Edoardo Camurri

"Il Corriere della Sera -  La Lettura",  27 gennaio 2013

«Prima regola di saggezza della vita: non farsi prendere dalla rabbia di fronte alla stupidità e alla debolezza degli uomini. Ciò reca grave danno» scriveva Giorgio Colli ne La ragione errabonda. Quaderni postumi, un testo a cura del figlio Enrico uscito per Adelphi nel 1982. Giorgio Colli è stato uno dei più grandi filosofi del Novecento, ma (consentitemi una certa brutalità) la stupidità e la debolezza degli uomini non hanno ancora permesso di riconoscerlo fino in fondo come tale. Colli giganteggia davanti a Heidegger, potrebbe dare del tu a Nietzsche e può concedersi il sovrano disprezzo (ma senza rabbia, anzi con sprezzatura) nei confronti di una contemporaneità ridotta spesso a essere luogo d'appuntamento delle menti ordinarie. Giorgio Colli, come ricordava il suo allievo e collaboratore Mazzino Montinari, è il filosofo meno convegnabile che ci sia. Ora, se le cose stanno così, potrebbe sorprendere che l'interesse per Giorgio Colli stia riemergendo; e non in Cina (dove ormai è diventata una moda giornalistica andare a caccia della fortuna postuma di alcuni grandi pensatori, per esempio Tocqueville e Leo Strauss) o negli Usa (dove serve sempre un nuovo strumentista per suonare la grancassa dell'Italian Theory) ma sul web, grazie a un sito rinato qualche mese fa e che, poco per volta, ma con un ritmo abbastanza impressionante, sta mettendo online gran parte dei materiali presenti nell'Archivio Colli di Firenze: giorgiocolli.it.
L'iniziativa è paradossale e affascinante insieme. Ne parliamo con Alberto Banfi, quarantaquattro anni, bibliotecario per ragazzi a Seregno, che da anni ha iniziato a lavorare insieme a Enrico Colli (morto il 30 luglio del 2011) proprio a questo progetto. «Grazie al web — dice — è possibile raccogliere quell'interesse per Colli che altrimenti è difficile catalizzare attraverso le scuole, le istituzioni, i giornali e i media tradizionali; parliamo di un filosofo che ha trovato pochissimo spazio nell'università e nella critica». A complicare le cose, e a renderle perciò ancora più interessanti, è il fatto che Giorgio Colli ha scritto pochissimo, preferendo un lavoro diretto con gli amici e con i collaboratori: «Colli aveva capito che l'unico modo per fare cultura, in quel periodo, era il lavoro editoriale» spiega Banfi spingendo ancora più in là un paradosso che si può riassumere così: rivive sul web un grande filosofo inattuale la cui unica concessione culturale alla contemporaneità erano le grandi fatiche editoriali (per dirne una: Colli curò per l'Adelphi appena fondata da Luciano Foà, Roberto Bazlen e Roberto Calasso l'edizione critica dell'opera completa di Friedrich Nietzsche; e sul sito è possibile leggere una parte dell'affascinante corrispondenza con Luciano Foà a proposito di questo incredibile progetto editoriale nato alla fine degli anni Cinquanta). Viene in mente un passo che si legge nel suo Dopo Nietzsche (Adelphi) e che può essere applicato a lui stesso: «Nietzsche — scrive Colli — attacca Socrate come se fosse vivo, come se lo vedesse dinanzi a sé. Questo è il grande fascino della sua inattualità. Essere fuori del tempo ma avvicinare il passato, trattare l'assente come presente». Il web, chi lo studia lo ripete spesso, è capace infatti di trattare l'assente come presente, in una sospensione del tempo che sembra poco per volta erodere il pregiudizio collettivo nei confronti della storia e del progresso. Considerazioni abbastanza conturbanti anche se, lo ammetto, arrivano dopo l'entusiasmo per l'immediato, cioè per lo spettacolo che si prova davanti a tutto il materiale che si può trovare sul sito web dell'archivio Giorgio Colli. Ho trovato per esempio innamorevole la ricostruzione che Clara Valenziano, scrittrice, prima moglie di Valentino Parlato, ha fatto degli anni di Lucca quando, immediatamente dopo la guerra, Giorgio Colli insegnava filosofia in un liceo di quella città e i suoi allievi la studiavano secondo lo spirito più classico dei grandi greci: «Molto presto fu deciso, per dare basi più solide alle nostre discussioni, di organizzare la lettura di testi. L'autore più letto fu Platone. Ed è comprensibile che, quando a Lucca si seppe che leggevamo il Simposio e ci banchettavamo su, la cosa fosse considerata deplorevole: del resto era vero che quasi sempre qualcuno finiva sbronzo». Il Simposio li rese famosi. «Anzi, malfamati» precisa la Valenziano che poi aggiunge: «Fu il primo dialogo che leggemmo, l'Alcibiade, ad aiutarmi a capire quello che Colli intendeva quando diceva che dovevamo formare "una comunità di amici uniti dal vincolo della conoscenza e da una particolare qualità dell'anima". È il passo dove Socrate dice che come un occhio, se vuol guardare se stesso, deve specchiarsi nell'occhio — sede della vista — di un altro, così l'anima, se vuol conoscere se stessa, deve guardare nell'anima — sede del sapere — di un altro: deve specchiarsi, manifestarsi, esprimersi».
La rievocazione di quell'esperienza filosofica, come si dice, vale il viaggio. Come vale la pena sorprendersi leggendo sempre sul sito il diario del 1944 dove il ventisettenne Giorgio Colli confidava come buon proposito: «Preparare sin d'ora il sistema filosofico definitivo» (può fare sorridere, ma è l'unica ambizione vera dei grandi filosofi). Giorgio Colli diffidava della comunicazione scritta; si legge nella sua Filosofia dell'espressione (Adelphi): «Qualcosa di sinistro appartiene alla scrittura: chi legge si sente spinto ad abbreviare i passaggi, a saltare qualcosa, come per un'oppressione innaturale di fronte a una struttura macchinosa. La parola viva richiama direttamente l'universale, mentre di fronte allo scritto, che dovrebbe richiamarlo indirettamente, si salta lo stadio della parola o meglio si confonde in una cosa sola parola e universale». Diffido delle teorizzazioni sul web, ma è eccitante pensare che l'aristocratica diffidenza di Giorgio Colli nei confronti della scrittura in nome di una comunità di eletti e di eguali con la quale fare filosofia possa essere attraversata dalla freccia di una comunità 2.0 di appassionati di Giorgio Colli. Anche se il maestro è assente, importante è trattarlo come presente. Guardarsi negli occhi. Anche attraverso un sito web.

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