martedì 29 gennaio 2013

Marc Augé: “Curiosi e attivi senza l’angoscia del futuro”


Contro la paura
In un nuovo libro l’antropologo francese analizza le inquietudini planetarie
E indica alcune strade per fronteggiarle

Fabio Gambaro

"La Repubblica", 28 gennaio 2013

La realtà in cui viviamo è spesso ridotta a una «matassa indistinta e confusa di paure». Una matassa che rischia di paralizzarci e impedirci di vivere, ma che Marc Augé prova pazientemente a dipanare nel suo nuovo libro, Les Nouvelles Peurs (Payot, pagg. 92). Per l’antropologo francese, che da anni si concentra sull’analisi delle trasformazioni e delle contraddizioni del mondo contemporaneo, le paure economiche e le discriminazioni sociali, le violenze politiche e le derive tecnologiche, i cataclismi naturali e le minacce criminali finiscono spesso per sovrapporsi e confondersi, amplificandosi a vicenda, producendo panico e angoscia negli individui.
«Naturalmente tutte queste paure non sono direttamente collegate le une alle altre, ma nella vita quotidiana spesso ci appaiono proprio così», spiega l’autore di Un etnologo nel metrò, Non luoghi e Che fine ha fatto il futuro?
«I media evocano senza soluzione di continuità il rischio di un cataclisma, un attentato terroristico, l’aumento della disoccupazione e la strage inspiegabile di un pazzo. Sono realtà indipendenti, che però tutte assieme in un telegiornale fanno massa. La giustapposizione crea un effetto di contaminazione che le amplifica e le semplifica al contempo, dando luogo a un’unica paura globale, diffusa e indistinta. Di conseguenza, quando ne evochiamo una, di fatto è come se evocassimo tutte le altre. Il che è indubbiamente un elemento di novità».
Nel passato le paure erano più isolate, definibili e locali?
«Probabilmente sì. Nei secoli scorsi non sono mancate le grandi paure, che però erano spesso legate a fattori e contesti ben precisi. Oppure erano paure molto più universali, come ad esempio la paura della morte. In passato inoltre non si sapeva nulla di ciò che accadeva lontano da noi, mentre oggi sappiamo tutto quello che accade in ogni angolo del pianeta. Se un pazzo uccide dei bambini in una scuola americana, ne siamo immediatamente informati come se fosse accaduto sotto casa nostra. Di conseguenza, temiamo per i nostri figli. Insomma, tutto quello che accade lontano ci riguarda e ci terrorizza come se fosse vicino. Il sistema dell’informazione crea una forma di paura nuova, più sfuggente e più astratta. Quindi più difficile da combattere. Tuttavia, il fatto che sia più astratta non significa che non abbia effetti concreti, producendo negli individui un terrore paralizzante. Come accade per le nuove inquietudini planetarie, che sono la dimensione oscura e minacciosa della globalizzazione. Dominate dall’idea che ciò che riguarda gli uni finisce prima o poi per coinvolgere tutti gli altri, le catastrofi nucleari, le epidemie, ma anche il terrorismo o le minacce del sistema finanziario assumono contorni quasi apocalittici».
Questa matassa di paure eterogenee è lo sfondo permanente delle nostre vite?
«In un certo senso sì. La paura è ridiscesa in terra e contemporaneamente si è generalizzata. Un segnale di questo timore diffuso è il successo di un libro come Indignatevi! di Stéphane Hessel. L’indignazione, infatti, è la forma sublime della paura. In questo caso, le parole di un vecchio saggio — una figura abbastanza tradizionale e quindi rassicurante — riescono a dare un contenuto preciso in termini socio-politici alle paure indistinte di un gran numero di persone. E’ per questo che il libro ha tanto successo. La nostalgia per certi valori del passato che prende forma nelle pagine di Hessel viene interpretata come un grido di rivolta nei confronti del presente. In fondo, se nei secoli scorsi si aveva innanzitutto paura della morte, oggi si ha soprattutto paura della vita».
Perché?
«Gli allarmi economici, ecologici e sanitari, ma anche la violenza o il terrorismo sono qui e adesso. Generano un’angoscia quotidiana e immediata che occupa tutto il nostro orizzonte, impedendoci di proiettarci più in là. Nell’epoca classica, proprio perché gli uomini avevano paura della morte, stoicismo e epicureismo provavano ad elaborare riflessioni in grado di consolarci. Oggi queste forme di consolazione filosofica non funzionano più. Molte delle paure che ci attanagliano non sono nuove in sé, è nuovo però il loro modo di fare sistema e la loro percezione. Nel passato, dato che le paure erano percepite come locali e concrete, si aveva l’impressione di poter fare qualcosa per prevenirle. Oggi invece, più le paure diventano un groviglio inestricabile, più si ha l’impressione che sia impossibile intervenire sulle problematiche che le alimentano. La sensazione d’impotenza è uno degli elementi costitutivi delle nuove paure».
Ciò vale ad esempio per la percezione della crisi economica. È così?
«In effetti, di fronte alla crisi economica ci sembra che non ci siano soluzioni efficaci. La crisi è percepita come ineluttabile e inarrestabile. Da qui le paure della disoccupazione, del declassamento sociale e della povertà, che peraltro vanno di pari passo con il terrore di un sistema che sembra avanzare in maniera inerziale e fuori da qualsiasi controllo. In fondo, si teme l’incompetenza e l’inconsistenza di coloro che dovrebbero governare il sistema. E naturalmente tutto ciò implica un certo fatalismo che produce battaglie solo difensive. Una volta si sognava di abbattere il sistema, oggi si spera solo che non crolli definitivamente per non esserne le vittime».
Ci sono poi le paure prodotte dalla scienza e dalla tecnologia…
«Tradizionalmente le paure nascono dall’ignoranza. A volte però anche la conoscenza può angosciarci, come accade talvolta con l’innovazione tecnico-scientifica. Diverse scoperte della scienza ci fanno paura, dal nucleare alla clonazione. Oggi, nonostante l’entusiasmo per le nuove tecnologie, l’avvenire ci sembra prefigurare un mondo d’incognite. Motivo per cui preferiamo non proiettarci troppo in un futuro percepito più come una minaccia che come una speranza. Questa scomparsa del domani come orizzonte operabile aumenta inevitabilmente l’ansia nel presente».
C’è un modo per sottrarsi a questo insieme di paure?
«Più che le minacce concrete, siamo paralizzati dalla superstizione che queste siano presenti nella nostra vita tutte allo stesso tempo, mescolate e confuse. Bisognerebbe quindi essere capaci di districarne il groviglio, isolandole e analizzandole singolarmente. Solo così è possibile disinnescarle. Occorre quindi un atteggiamento attivo. La paura globale che sfugge al controllo della ragione sembra infatti agire maggiormente su coloro che si collocano in una posizione di passività nei confronti della realtà. Chi agisce e interviene ha sempre meno timore di chi subisce passivamente. In questo senso, l’educazione e l’istruzione possono aiutarci. La conoscenza può trasformare l’angoscia in curiosità, che, secondo me, è il primo passo per disfarsene. Senza dimenticare che, se è vero che la paura produce regressione, essa può anche diventare un fattore di progresso, dato che, una volta superata la paralisi, ci spinge a cercare soluzioni per andare avanti».
Ci si può abituare alla paura e convivere con essa?
«Ciò accade spesso, dato che il timore fa parte del nostro paesaggio quotidiano, modificando le nostre vite e i nostri comportamenti. La vita però deve continuare, quindi finiamo sempre per adattarci. E’ però una vita mutilata. Per questo credo che sia sempre meglio cercare di disfarsi delle paure, smontandone i meccanismi. Che poi è il motivo per cui ho scritto questo libro».

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