Giorgio Vasta
"La Repubblica", 13 gennaio 2013
Il circo elettrico delle sirene (Codice Edizioni) dello storico della scienza Emanuele Coco comincia con una frase attribuita a Sant´Agostino - «Non chiedetevi se queste cose sono vere. Chiedetevi cosa significano» - , ovvero ponendo da subito la marginalità se non l´irrilevanza dell´esistenza reale delle sirene. Se sono state immaginate, le sirene sono reali. Per comprenderne il significato è dunque legittimo interrogarne la storia - la storia del mito - ricorrendo a una forma diretta e colloquiale. Perché le sirene, dalla Grecia antica a Kafka, ci riguardano. Volteggianti nel cielo o appostate su una roccia marina, le sirene non semplicemente parlano con noi: le sirene parlano di noi. Ci inducono a immaginare ciò che accadrà; ci irretiscono facendo leva su qualcosa che potrebbe sembrarci illogico e disumano essendo invece uno dei modi più straordinari in cui l´umano si manifesta: ci costringono a confrontarci con il nostro costante bisogno di naufragio.
Dunque, in quanto intrinseche alle nostre esistenze, discutere delle sirene in una forma saggistica tradizionale non basta. L´autore ne è consapevole tanto da costruire un saggio sui generis che vira di continuo verso la storia d´amore, verso il racconto di come il desiderio sia il continuo deflagrare di un´immaginazione in cerca di una forma in cui incarnarsi.
Leggendo diventa presto evidente che il processo di identificazione delle sirene è coinciso nel tempo con un processo di invenzione e reinvenzione delle sirene medesime. Il tentativo di mettere a fuoco questi esseri misteriosi ha generato percezioni tanto avventurose quanto affascinanti. Le sirene sono state uccelli (così in due ceramiche corinzie: donne pennute dalle zampe di gallina, personificazione della leggerezza e della volatilità di ogni proposito sentimentale), pesci (femmineo dalla testa alla vita, secondo l´iconografia più diffusa il loro corpo continua in un tronco affusolato e squamoso che culmina in una coda biforcuta o a ventaglio), sono state lamantini o dugonghi dentuti. Sono state la sfrenatezza sessuale più sconvolgente, ma anche madri che allattano, come in una miniatura fiamminga della fine del XIII secolo. Sono state caste (secondo Omero), ma nella loro declinazione ferina - come risulta dal Sacramentario di Gellone - è necessario che la Madonna le esorcizzi brandendo una croce. Annidata nei salmi e nei pontificali del Medioevo, la loro immagine tutt´altro che servire da monito era per i monaci turbamento, l´infragilirsi di ogni pensiero rigoroso, l´insediarsi nella mente e nel corpo dello scompiglio. Non restava loro altro che conficcare la testa nella neve, ricomporre una geometria nel cervello - raggelare, rinsavire.
Onniscienti, in grado di vaticinare ciò che accadrà, le sirene sono polimorfe perché caleidoscopica, tremante, ambigua è sempre stata la raffigurazione maschile del femminile. Il libro di Coco vale anche da esplorazione del modo in cui nei secoli gli uomini hanno rappresentato a se stessi le donne. Da questa prospettiva le sirene sono figure sintomatiche di un immaginario aggressivo e colpevolizzante rispetto al quale il femminile è sensualità acrobatica che conduce alla perdizione oppure un materno tradizionalmente affettuoso.
Resta il fatto che le sirene sono, per nostra fortuna, irriducibili a una lettura ultima. Strette d'assedio dalla furia tassonomica del XVIII secolo, così come dai tentativi di spettacolarizzazione da circo Barnum - nel 1822, a Londra, l´ingresso per ammirarne un esemplare essiccato era di uno scellino - ugualmente le sirene si oppongono a ogni tentativo di imbrigliamento. Nessuno può catturare una sirena, presumere di averla identificata è soltanto un´illusione. La sirena permane sfuggente: la sua sostanza è lacunosa, la sua natura è quella del fantasma. Perché il desiderio, al limite, si segue: pretendere di imprigionarlo è inverosimile. Diversamente dai monaci medievali ci serve scrutare il mare nell´attesa di scorgere un´increspatura e poi un guizzo, il balenare di una coda; soprattutto continua a esserci necessario cogliere uno stridio, un balbettio, una lallazione: una tra le forme in cui si genera il canto che incanta.
Franz Kafka
Il silenzio delle Sirene (Das Schweigen der Sirenen)
Dimostrazione del fatto che anche mezzi inadeguati, persino puerili, possono servire alla salvezza.
Per difendersi dalle Sirene, Odisseo si tappò le orecchie con la cera e si lasciò incatenare all'albero maestro. Naturalmente tutti i viaggiatori avrebbero potuto fare da sempre qualcosa di simile, eccetto quelli che le Sirene avevano già sedotto da lontano, ma era risaputo in tutto il mondo che era impossibile che questo potesse servire. Il canto delle Sirene penetrava dappertutto e la passione dei sedotti avrebbe spezzato ben più che catene e albero. Odisseo non ci pensò, benché forse lo sapesse. Confidava pienamente in quel poco di cera e in quel fascio di catene, e, con innocente gioia per i suoi mezzucci, andò direttamente incontro alle Sirene.
Ora, le Sirene hanno un'arma ancora più terribile del canto, cioè il silenzio. Non è certamente accaduto, ma potrebbe essere che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio. Al sentimento di averle sconfitte con la propria forza, al conseguente orgoglio che travolge ogni cosa, nessun mortale può resistere.
E, in effetti, quando Odisseo arrivò, le potenti cantatrici non cantarono, sia che credessero che solo il silenzio potesse vincere quell'avversario, sia che, alla vista della beatitudine nel volto di Odisseo, che non pensava ad altro che a cere e a catene, si dimenticassero proprio di cantare.
Ma Odisseo tuttavia, per così dire, non udì il loro silenzio, e credette che cantassero e di essere lui solo protetto dall'udirle. Di sfuggita vide sulle prime il movimento dei loro colli, il respiro profondo, gli occhi pieni di lacrime, le bocche socchiuse, ma credette che questo facesse parte delle arie che non udite risuonavano intorno a lui. Ma tutto ciò sfiorò appena il suo sguardo fisso nella lontananza, le Sirene sparirono davanti alla sua risolutezza e, proprio quando era più vicino a loro, non seppe più niente di loro.
Quelle - più belle che mai - si stirarono e si girarono, fecero agitare al vento i loro tremendi capelli sciolti e tesero le unghie sulle rocce. Non volevano più sedurre, volevano solo carpire il più a lungo possibile lo sguardo dei grandi occhi di Odisseo.
Se le Sirene avessero coscienza, quella volta sarebbero state annientate. Ma sopravvissero, e solo Odisseo sfuggì a loro.
A questo punto, si tramanda ancora un'appendice. Odisseo, si dice, era così astuto, era una tale volpe, che neppure la Parca del destino poteva penetrare nel suo intimo. Egli, benché questo non si possa capire con l'intelletto umano, forse si è realmente accorto che le Sirene tacevano e ha, per così dire, solo opposto come scudo a loro e agli dèi la suddetta finzione.
Nessun commento:
Posta un commento