sabato 26 gennaio 2013

Gli italiani, la colpa e la rimozione


"Il Fatto", 25 gennaio 2013

Davanti al male, a quella ferita che ha squarciato il ‘900, gli italiani hanno avuto una lentissima e complessa presa di coscienza. Guardare in faccia l’Olocausto, non come un affare inventato dai cattivi discepoli di Hitler, ma come un crimine che coinvolse uomini e nazioni non è stata un’operazione semplice, né priva di contraddizioni, rimozioni, corto-circuiti culturali e politici. Come accade ogni anno all’alba della Giornata della Memoria, libri, mostre e convegni fanno girare all’indietro l’orologio della coscienza. E ci riportano nell’inverno della Storia, stagione atroce che ha trovato in Auschwitz una capitale ideale: il toponimo del campo liberato dalle truppe sovietiche il 27 gennaio 1945 è diventato un simbolo, in grado di significare da solo l’intera rete dell’operazione nazista. Robert Gordon, docente di Modern Italian Culture a Cambridge, ci guarda da fuori. In Scolpitelo nei cuori (Bollati Boringhieri, in uscita in questi giorni) compila una storia sociale della memoria sull’Olocausto. Non è, come siamo abituati a leggere, la voce di un testimone del dolore, non è lo scritto di un ebreo italiano. Ma la prima analisi di ciò che, dopo l’orrore, è rimasto nella rete dei ricordi e della coscienza collettiva, elaborata attraverso lo studio della letteratura, della storiografia, ma anche della filmografia e della musica che hanno affrontato e proposto agli italiani il “problema Shoah”.
LE DOMANDE sono gravi – come, quanto abbiamo voluto tramandarne la memoria? Quali ricadute nelle nostre vite, quali insegnamenti, quali comportamenti ci deve imporre la storia della soluzione finale? – e le risposte non sempre sono facili da accettare. Gordon parte innanzitutto da una periodizzazione temporale, grazie alla quale emerge la linea di una “digestione culturale” lentissima. Che diventa presa di coscienza – delle dimensioni e delle responsabilità, anche nazionali – molto tardiva. Fino agli anni 50 si assiste a una “diffusa indifferenza, se non addirittura un totale silenzio, che circonda i crimini nazisti commessi contro gli ebrei e il sistema concentrazionario” e solo dagli anni 80 in poi, “la consapevolezza di massa raggiunge e si traduce in una pervasiva americanizzazione dell’Olocausto, anche attraverso il successo internazionale del film di Steven Spielberg Schindler’s List (1993)”.
L’Italia non è da meno: resta molto a lungo nell’atmosfera l’idea degli “italiani brava gente”, resta diffuso il sentimento autoassolutorio di un popolo che stenta a farsi carico del proprio passato. Gordon affronta diffusamente la legge Colombo (scritta e proposta da Furio Colombo alla Camera e presentata in Senato da Athos De Luca) che nel 2000 istituì in Italia la Giornata della Memoria, a cominciare dalla scelta della data: non quella “italiana” voluta da Colombo – il 16 ottobre, giorno del rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma –, ma quella internazionale e più neutra del 27 gennaio. Sono pagine tristemente illuminanti quelle che mettono a nudo l’immaturità di un Paese che quasi mai è riuscito ad andare oltre il “tutti fascisti-nessun fascista”, ha usato la Resistenza come foglia di fico sulle responsabilità, anche collettive, e ancora oggi ha bisogno della misera par condicio dei crimini, fascisti e comunisti.

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