Rutherford and Bohr describe atomic structure, 1913 |
Piergiorgio Odifreddi
"La Repubblica", 27 gennaio 2013
Tra i centenari che celebreremo quest’anno, uno cade a luglio ed è l’anniversario della pubblicazione, da parte di Niels Bohr, del modello di atomo che porta il suo nome. Oggi ci è forse difficile immaginare che, benché l’atomismo fosse stato proposto nell’antichità da Democrito, e cantato da Lucrezio nel De Rerum Natura, ancora alla fine dell’Ottocento veniva considerato solo un’utile finzione. Fu la tesi di Albert Einstein, pubblicata nel 1905, a sdoganare definitivamente l’atomo, ma rimaneva da capire com’esso fosse fatto. Un paio d’anni dopo Ernest Rutherford, in un famoso esperimento, bombardò lamine d’oro con particelle alfa e scoprì che la maggior parte di queste ci passavano attraverso, ma ogni tanto qualcuna rimbalzava come se avesse sbattuto contro un muro. Rutherford dedusse che l’atomo era costituito da un piccolo nucleo massiccio, di carica positiva, attorno a cui giravano a grande distanza degli elettroni minuscoli, di carica negativa. Nacque così il “modello planetario” dell’atomo, che valse a Rutherford il premio Nobel per la chimica nel 1908. Ma questo modello aveva un problema: girando attorno al nucleo, gli elettroni avrebbero dovuto perdere energia, e caderci dentro. Fu appunto questo problema che Bohr risolse nel 1913, supponendo che le orbite degli elettroni fossero quantizzate: cioè, che solo certi raggi fossero possibili. Questo modello, a metà classico e a metà quantistico, gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1922, e fu l’ultimo che si può spiegare in maniera intuitiva. In seguito la meccanica quantistica dimostrò le ipotesi di Bohr, ma allontanò completamente l’atomo dall’intuizione dell’uomo comune, e forse anche dei fisici.
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