domenica 20 gennaio 2013

I grandi misteri dell’alchimia nella Firenze dei Medici


Agli Uffizi in mostra il laboratorio delle meraviglie dei granduchi

Paolo Russo

"La Repubblica", 20 gennaio 2013

Don Antonio de’ Medici, figlio di Francesco I, portava un pendente di perla all’orecchio sinistro. Curava così, secondo la medicina del Cinquecento, una malattia agli occhi. I denti di squalo bianco macinati erano invece usati contro epilessia infantile e morso dei serpenti, usati come dentifricio e, incastonati in ciondoli, ambìto talismano per la salute tout court. Come il bezoar, bolo intestinale di peli, fibre e resti di cibo, recuperato in vari animali, ritenuto inoltre un potente antiveleno. Mentre dalle ghiandole perianali dello zibetto, mammifero africano poi qua allevato in grandi serragli, si estraeva un’essenza che deliziava Francesco I, dame e gentiluomini d’ogni dove.
Sono solo pochissimi esempi di cosa potesse sortire dalle ingegnose ed esoteriche, confuse e truffaldine ricerche alchemiche che nel XVI secolo impazzavano in tutta Europa. Concentrate sulla trasformazione della materia, inseguivano il mito della mutazione dei metalli in oro, tuttavia cogliendo talvolta utili risultati: gli antiveleni prodotti con la macerazione di scorpioni vivi, utensili e processi per la lavorazione di vetri, metalli, maioliche, pietre. Dai tempi di Cosimo I, che volle il suo Studiolo, ovvero la prima “fonderia” (i laboratori alchemici cui concorrevano abilissime maestranze e sapienti d’ogni disciplina e nazionalità) con annessa collezione personale di mirabilia, in Palazzo Vecchio, i Medici (ai quali si deve, in quell’epoca, pure il primo disciplinare farmacologico della storia) furono, una volta di più, modello profetico e inimitabile. Che gettò le basi, insieme a quelle d’arte, delle future raccolte scientifiche. Nelle fonderie si facevano fusioni e distillazioni segretissime, e vi si svolgevano quegli esperimenti – con teatro e nascente opera i mega show dell’epoca, in cui l’alchimista era come una rock star – che, talvolta aperti a un pubblico di privilegiati, cercavano di stupirlo al massimo grado. Al pari delle attigue, sterminate raccolte di “mirabilia, pretiosa et naturalia” (inclusive di mummie egiziane, da cui si credeva di estrarre un potente tonico) accumulate in base a stranezza e rarità dell’oggetto. In entrambi i casi ottima comunicazione per il mecenate.
Di questo narra nella Sala delle Reali Poste (fino 3 febbraio) la nuova edizione de “I mai visti”, mostra annuale di pezzi non esposti degli Uffizi, dal titolo Arte ed alchimia. La Fonderia degli Uffizi: da laboratorio a stanza delle meraviglie.

Ben curata, come il catalogo, da Valentina Conticelli, e organizzata da Ente Cassa di risparmio e Amici degli Uffizi, l’associazione che dal 1993 ha raccolto per il museo ben 4 milioni di euro. 
Una formidabile avventura scritta e praticata con indefessa passione da tutti i granduchi, oggi rievocata in sessanta opere (dipinti, sculture, disegni, rimedi farmaceutici) e reperti. Inclusi alambicchi, ampolle e preparati, un rostro di pesce sega, una mascella di squalo bianco pescato a Livorno, una preziosa cassetta di medicamenti che i Medici mandavano in dono a sovrani e potenti, e un pesce palla, osannato dallo sceltissimo pubblico della Tribuna degli Uffizi.
Ultimo mirabolante approdo di un viaggio che, dopo Palazzo Vecchio, trasferì il cuore alchemico della corte medicea nel Casino di San Marco. Fu, la Tribuna, la cattedrale della vocazione alchemica di famiglia ove si celebrava la scienza come sete di sapere ma anche segno di rango inarrivabile e fonte di meraviglia da esibire al mondo: l’anticamera, per così dire, della wunderkammer. La Tribuna ebbe il suo prodigioso cantiere nello stesso luogo e momento, il 1581, in cui gli Uffizi diventavano sede delle favolose collezioni quattrocentesche e classiche di Francesco I. Una convergenza prodigiosa che, fino alla seconda metà del Settecento, resterà unica e unita. Per poi generare con la loro separazione, nella vicina Specola lorenese l’archetipo del futuro museo scientifico, e negli Uffizi quello d’arte. E sempre nel Cinquecento, a onor del vero, e dei Medici, con Galileo prima, l’Accademia del Cimento e Francesco Redi poi, l’alchimia cedeva il passo alla scienza sperimentale. Che decollava da Firenze verso il futuro. Per giungere fino a noi.

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