Piccolo, ma pieno di curve
Elena Dusi
"La Repubblica", 2 gennaio 2013
Da sessant’anni, esperti di tutto il mondo analizzano l’encefalo del genio ridotto a frammenti dopo la sua morte Ora uno studio rivela che l’organo, più leggero della media, era però ricchissimo di solchi e dunque assai esteso.
MA COSA aveva Einstein sotto ai capelli? Nel suo cervello, sopravvissuto alla cremazione e alla dispersione delle ceneri, da quasi sessant’anni i neuroscienziati inseguono la scintilla del genio. Nella speranza che riveli i suoi segreti, l’organo del pensiero più sublime della specie umana è stato espiantato, fotografato, immerso in formalina, tagliato in 240 blocchi.
Blocchi a loro volta affettati in circa duemila sottilissime sezioni, trasformate in altrettanti vetrini, spedite ai principali luminari in una ventina di nazioni del mondo e oggi, alla fine, per lo più disperse.
Ma non importa. Basta un indizio tratto da quel che resta del cervello di Einstein per annunciare una scoperta. Ecco allora che Dean Falk, antropologa dell’università della Florida, ha ripescato quattordici foto dell’organo ancora intero, appena prelevato nel giorno della morte, il 18 aprile 1955. Da quelle immagini ingiallite, scattate in tutta fretta nella morgue dell’ospedale di Princeton da un patologo (Thomas Harvey) privo di un’esplicita autorizzazione all’espianto, la Falk ha annunciato di aver espunto i lineamenti del genio. I risultati, pubblicati su Brain, indicano che il segreto di Einstein era «la complessità del tracciato delle circonvoluzioni di alcune aree della corteccia prefrontale, della corteccia visiva e dei lobi parietali».
La corteccia cerebrale, l’area più evoluta del cervello umano, è associata al ragionamento astratto. Maggiori sono le circonvoluzioni e i solchi, più ampia è la superficie di questa sottile sezione composta da soli sei strati di neuroni. Per l’antropologa americana non è dunque una sorpresa che in meandri così profondi e allungati sia stata concepita la curvatura della trama di spazio e tempo nell’universo, culmine di un ragionamento iniziato quando lo scienziato aveva 16 anni e provava a immaginare se stesso all’inseguimento di un raggio di luce.
Osservando un frammento di corteccia cerebrale del genio, d’altra parte, già nel 1999 la neuroscienziata della McGill University Sandra Witelson aveva commentato: «È sorprendentemente paffuto». E non è un caso neanche che sulla corteccia si sia puntato in passato per magnificare un altro cervello illustre, quello di Lenin, tagliato in oltre duemila fette ma almeno conservato al completo dal 1924 nel Brain Institute di Mosca. Di lui si disse che era l’unico uomo con la corteccia composta da sette strati di neuroni, ma l’affermazione resta confinata all’ambito della propaganda. L’analisi della materia grigia del padre della rivoluzione russa fu affidata all’allora pioniere della neurologia tedesca, Oskar Vogt. Il quale concluse che Lenin era «un atleta del pensiero associativo ». Ma qualche anno più tardi non disdegnò di lavorare sotto al regime nazista.
A differenza di Lenin, sempre ben preservato, frammenti di Einstein restarono dal ’55 al ’78 a casa di Harvey, in due barattoli che originariamente contenevano sidro, all’interno di uno scatolone di cartone. Sopravvissero ai divorzi del medico, ai suoi licenziamenti e ai traslochi (uno dei quali raccontato nel libro A spasso con Mr. Albert. Attraverso l’America con il cervello di Einstein).
Pur essendo più piccolo della media (1.250 grammi contro i 1.300-1.400 degli uomini) secondo la Falk il cervello del padre della relatività mostra anche il “bernoccolo” della musica: un rigonfiamento della corteccia motoria che controlla la mano sinistra sviluppato suonando il violino fin dall’infanzia. E le connessioni che portano ai muscoli del viso e della lingua sembrano più fitte del normale, a spiegare forse la mimica (e la famosa linguaccia) dell’uomo che Time elesse personalità del secolo.
La maggior parte dei colleghi ha accolto lo studio della Falk con scetticismo, sottolineando che il cervello è uno degli organi più variabili e che non è l’architettura dei neuroni a descrivere la fiammella dell’intelligenza di un uomo. Sarebbe anche vano dibattere se Ivan Turgenev, con oltre due chili di materia grigia, fosse più dotato di un Anatole France che a malapena raggiungeva un chilo, molto meno della media delle donne. Ma chi ne abbia voglia oggi può cimentarsi in prima persona nello studio del cervello di Einstein. I frammenti recuperati sono stati digitalizzati e trasformati in una app per l’ipad. Al programma manca solo la linguaccia con cui il genio avrebbe accolto la notizia.
L'articolo di Nature, dicembre 2012
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