venerdì 11 gennaio 2013

Il web minaccia la serendipità


David Weinberger

"Corriere della Sera - La Lettura", 6 gennaio 2013

Può capitare di trovare su una panchina un libro di uno scrittore sconosciuto, che diventa poi uno dei nostri preferiti; o di sbagliare strada e imbattersi in un delizioso ristorante che altrimenti non avremmo scoperto; oppure di star seduti su un aereo accanto a uno sconosciuto che ci inizia all’origami. Un termine derivato dall’inglese per designare queste piacevoli e inattese scoperte è «serendipità». Nelle discussioni su Internet degli ultimi anni, la serendipità, prima associata alla fortuna, è diventata qualcosa che non possiamo più permetterci di lasciare alla sorte. È abbastanza strano. È strano, perché se c’è una cosa che Internet sa fare bene è proprio portare a scoperte inattese e piacevoli, tanto che una delle critiche più comuni mosse alla rete è che distrae. Incontriamo link così attraenti che, come trote attirate da un’esca, clicchiamo. Poi un click tira l’altro, e dimentichiamo perché ci eravamo connessi.
Ci siamo distratti, ma distrazione e serendipità sono la stessa cosa? Non è proprio così. Se le nostre casuali ricerche ci portano a scoperte poco interessanti, sono una distrazione. Se al contrario ci fanno trovare qualcosa che ci colpisce positivamente, si tratta di serendipità. La distinzione si basa su un giudizio di valore. Se però dobbiamo fare delle ricerche sull’economia giapponese e finiamo per passare venti minuti a guardare degli spot divertenti della televisione francese, chi può dire se abbiamo sprecato tempo oppure ci siamo arricchiti con una piacevole esperienza?
Le persone che vogliono ampliare la serendipità della rete hanno in mente una serie di valori particolari e devono confrontarsi con tre ostacoli strettamente interconnessi: la ricerca personalizzata, le notizie filtrate e le isole culturali. La ricerca personalizzata ordina i risultati sulla scorta degli interessi manifestati nel corso della nostra precedente attività online. Le notizie filtrate ci mostrano solo gli argomenti che consideriamo importanti e sopprimono quelli per cui non abbiamo mostrato alcun interesse. Le isole culturali non ci fanno conoscere i punti di vista di chi è diverso da noi. Sono limitazioni che vanno senz’altro avversate.
Una più ampia libertà di ricerca non è però di grande aiuto. Siamo infatti già a un clic di distanza da tutte le informazioni importanti e illuminanti del mondo, il problema è che non le clicchiamo. Offrire un maggior numero di link non è la soluzione. Sembra che lo sia solo perché chi propone di espandere la serendipità è già interessato ad allargare i propri orizzonti, a cliccare i link che gli altri di solito ignorano. Supponiamo, per fare un esempio, che alla gente venga offerto un enorme menù da cui scegliere i propri cibi, ma che la maggior parte delle persone continui a preferire i tre o quattro piatti che conosce. I buongustai che pensano sia importante assaggiare una vasta gamma di cibi vorranno che nel menù figurino sempre più piatti esotici. Ma questa è una soluzione che funziona solo per chi ama provare nuove ricette. È una soluzione solo per chi non ha il problema. I buongustai hanno ragione: bisogna incoraggiare la gente ad ampliare i suoi orizzonti. Il problema però non è la mancanza di link, ma la mancanza di interesse. Dato che noi interpretiamo il mondo da una particolare angolazione culturale e storica, avremo sempre la possibilità di espandere i nostri interessi. E per fare questo abbiamo a disposizione due noti strumenti che mi sembrano ancora assai utili. Possiamo anzitutto imparare dai tradizionali media che riescono a suscitare interessi che non sapevamo di avere: le riviste, ad esempio, o film e libri ambientati in differenti luoghi e periodi storici. Basta allora creare opere d’arte e di cultura, di narrativa e di saggistica, che rendano il mondo inaspettatamente interessante. È più facile a dirsi che a farsi, ma sappiamo come formare e ispirare buoni scrittori, registi e artisti. Il secondo strumento, ancora più importante, è l’istruzione. Il criterio della serendipità suggerirebbe, in teoria, di portare un bambino in giro per un museo perché impari ad amare l’arte. Così si riesce però solo a fargli odiare i musei. Dobbiamo fare in modo che i nostri figli apprezzino la bellezza e il significato delle opere d’arte che li portiamo a vedere. Dobbiamo spiegare che in quel dipinto di Masolino la prospettiva era una tecnica nuova, oppure chiedere se, in quell’incisione di Rembrandt, il bambino che sta giocando mentre Gesù predica sarà redarguito. Dobbiamo spingere i figli a essere curiosi e a non avere paura delle nuove idee. Dobbiamo far capire che la cultura ci rende più aperti al mondo.
Solo allora potranno giovarsi della serendipità che fa scoprire e apprezzare le diverse idee, valori e visioni che danno al nostro mondo e ai suoi link la capacità di distrarci.

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