venerdì 18 gennaio 2013

L'invasione degli scrittori alieni


Giornalisti, registi, attori, conduttori: l'assalto alle classifiche

RAFFAELE LA CAPRIA 

"Corriere della Sera", 14 gennaio 2013

Da un po' di tempo a questa parte, diciamo approssimativamente da quando sono nate le megalibrerie e i libri sono diventati merce da supermarket, il territorio della letteratura è invaso da una folla di alieni, una vera invasione barbarica; giornalisti-scrittori, attori-scrittori, conduttori televisivi-scrittori, registi-scrittori, sceneggiatori-scrittori, tutti rispettabilissimi e rispettati nella loro professione, ma che cosa hanno a che fare con la letteratura? Niente, non fanno che confondere le acque e la testa dei lettori che non sanno più trovare la letteratura dove è. 
Quando dico alieni non voglio dire nulla di spregevole, voglio solo dire che essi sono, tranne qualche rara eccezione, lontani ed estranei da quel tipo di invenzione e di immaginazione che sono propri della letteratura. Ma sono essi i più promossi, non solo dalle loro carriere, ma per i libri che essi scrivono per promuovere se stessi. C'è, in chi li accoglie e li fa passare per scrittori, un conformismo che è a sua volta mancanza di cultura. È tutto un accorrere in soccorso di chi ha già dalla sua il successo in altri campi, e per convenienza conferirgli un titolo che non meritano e ulteriore successo in libreria. 
Sono pochi quelli che si sottraggono al conformismo che applaude quelli che sono già applauditi: i librai che li espongono sui banchi più in vista in libreria, i conduttori tivù che li chiamano nelle loro trasmissioni e li trattano come dei veri scrittori, i giornalisti che li intervistano e gli dedicano il paginone. 
Non c'è da meravigliarsi. La letteratura — quella vera — è qui da noi sempre l'ultima ruota del carro, lo spazio ad essa accordato dai giornali e dalle riviste, dalla tivù, è sempre più risicato. Per trovare lo spazio a lei riservato devi girare pagine e pagine di giornali e riviste in cui tutto sembra più importante, la cucina, la qualità dei vini, l'arredamento, la moda, i giocattoli per bambini, i fumetti, lo shopping, lo sport, le parole incrociate e così via. Infine, nel suo cantuccio, trovi la cultura. 
Così va il mondo, è vero, ma da noi si esagera! Dalla sua marginale collocazione, per non dire dalla sua emarginazione, si capisce l'importanza che le viene data. La cultura non viene mai riconosciuta e promossa per quello che è, per l'importanza che ha nella società. I premi letterari sono vuote cerimonie, inventati più per il turismo, gli assessori, i politici locali, che per lo scrittore, più per usare la letteratura che per onorarla. Nessuno vuol mettersi in testa che in letteratura non vale la democrazia e l'egualitarismo cui si vorrebbe ridurla, perché la letteratura è elitaria, c'è chi è più bravo e chi è meno bravo, e tanto basta. 
Ma questo non viene riconosciuto che da una stretta cerchia di lettori, mentre invece le classifiche dei libri più venduti, dei libri che hanno avuto più successo, sembra siano fatte alla rovescia, e sono infatti per lo più occupate dagli alieni, sono loro che hanno conquistato i posti in prima fila.
Certo i gusti del pubblico sono quelli che sono, ma gli scrittori per primi avrebbero dovuto reagire, avrebbero dovuto opporre con più fermezza le loro classifiche a quelle altre, avrebbero dovuto dire più spesso «fatti più in là», quando si verificava un'invasione di campo troppo insistente da parte degli alieni.
E come? Facendo sentire il loro parere sui libri che non meritano il favore ad essi accordato. Invece se ne stanno zitti e buoni. Avrebbero difeso meglio la letteratura, e non solo quella narrativa, ma la critica e la saggistica, rendendo più leggibili i loro scritti senza rinunciare al rigore. Avrebbero fatto con questo non solo un'opera culturalmente apprezzabile, ma anche avrebbero aiutato la società tutta, e la classe dirigente in particolare, a progredire e ad avere una mentalità meno ristretta. Infatti la cattiva letteratura che si spaccia per vera immeschinisce, le buone letture invece arricchiscono. In Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti, leggono più che da noi, e scelgono meglio i libri da leggere. In questi Paesi si riconosce alla letteratura e a chi lavora «per migliorare il linguaggio della tribù», un ruolo e uno status più alto del nostro. E sono molti i luoghi dove viene onorata, non solo le università e le associazioni culturali, ma anche le riviste letterarie e i giornali, che pagano bene ogni collaborazione.
Qui vedo molti bravi scrittori e critici letterari di prim'ordine costretti ad arrangiarsi in più modi per conquistare la necessaria considerazione; vedo che sono trascurati e mal pagati, cioè non riconosciuti per quello che valgono. Così non va bene, non solo per loro, ma per la civiltà del nostro Paese.

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