giovedì 17 gennaio 2013

Le due culture


La scienza è un teatro

Due saggi di Feyerabend contro l’autonomia dei saperi

Secondo il filosofo viennese non esiste nessuna demarcazione tra il sapere scientifico e l’arte:
si tratta di punti di vista diversi sulla realtà che possono integrarsi

Teresa Numerico

"L’Unità", 16 gennaio 2013

SE C’È UN TESTO CHE INDIRETTAMENTE SEGNALA L’INSENSATEZZA DI CERTE PRATICHE DI VALUTAZIONE TECNOCRATICA E SETTORIALE DEL SAPERE SCIENTIFICO, MOLTO IN VOGA ATTUALMENTE IN ITALIA, questo è il volume di Paul Feyerabend (1924-1994) Contro l’autonomia (a cura di Antonio Sparzani, pp. 113, Mimesis), che unisce due interventi di questo imprevedibile filosofo della scienza. Esso costituisce un vero e proprio J’accuse contro la tesi dell’autonomia delle discipline, da lui considerata solo una chimera convocata a difesa della presunta integrità e oggettività dei metodi adottati dalle scienze. Feyerabend argomenta invece appassionatamente in favore dell’impossibilità di valutare un oggetto di ricerca senza metterlo in rapporto con l’esterno della disciplina che se ne occupa: «Nel suggerire un’argomentazione scientifica non conosciamo mai completamente il suo significato».
Nonostante le differenze di stile e di epoca dei due testi raccolti (il primo scritto a metà degli anni ’60 del secolo scorso, l’altro un’intervista rilasciata alla sua ultima moglie Grazia Borrini, circa venti anno dopo), l’operazione editoriale è di grande raffinatezza intellettuale e dimostra la stringente attualità dell’opera del filosofo viennese, ferito durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre militava, suo malgrado, nelle fila dei tedeschi. L’incidente, del resto, lasciò un segno indelebile sul suo corpo, costringendolo a zoppicare vistosamente per tutta la vita. L’autore di Contro il metodo si scaglia contro l’autonomia e la specializzazione delle scienze mostrando l’irrazionalità e l’ideologia dei fautori della coerenza e della rigidità interpretativa delle pratiche scientifiche per eccellenza, gli esperimenti. La sua posizione serve a segnalare il carattere di totale astrattezza e di vera e propria religiosità della presunta «scientificità». Feyerabend sostiene che aver rifiutato l’autorità, la tradizione e la riflessione metafisica non abbia condotto ad un aumento di capacità critica nella scienza, ma ne abbia anzi irrigidito i confini impendendo un confronto vero con ciò che è esterno ad essa.
Uno sguardo critico sulla scienza, al di fuori del dogma empiristico di baconiana memoria, mostrerebbe che non c’è nessuna sostanziale differenza tra scienza e arte perché «si sovrappongono in molti casi (...) se vi è una scoperta è che le suddivisioni non hanno senso e se guardi alle attività umane queste si fondano una sull’altra in quello che alcuni chiamano scienza, e da lì nelle arti». Insomma secondo il filosofo non esisterebbe alcuna precisa linea di demarcazione capace di separare sensatamente la scienza dall’arte. Il teatro dalla fisica e così via. Ciò che esiste, invece, è piuttosto una grande discrepanza tra i percorsi reali degli scienziati per arrivare alle proprie scoperte e i modi in cui essi sono disposti a parlarne. Solo se gli scienziati fossero onesti si potrebbe davvero agire un processo critico, mettendo in discussione le ipotesi di partenza delle ricerche analogamente a come si interrogano le osservazioni sulla poetica di un autore a partire dalla sua opera.
Il caso del teatro è, per Feyerabend, emblematico. Il palcoscenico offre la possibilità di provare in modo simultaneo diverse ipotesi sulla realtà, attraverso l’uso di un dispositivo complesso come la messa in scena, nella quale oltre alle parole contano i gesti, i volti, le luci, il tono della voce, e molto altro ancora. La macchina teatrale consente di dare conto della molteplicità e della compresenza dei punti di vista dei personaggi. Essa rende possibile il cambiamento, non come una conseguenza delle precedenti premesse, ma come uno dei tanti, caleidoscopici esiti immaginabili a partire dal confronto, dalla rappresentazione multipla, teorizzata da Bertolt Brecht, con il quale il filosofo aveva collaborato da giovane. Prima di dedicarsi agli studi, subito dopo la II Guerra Mondiale, Feyerabend, infatti, aveva lavorato per il teatro.
La scienza dunque come teatro delle ipotesi che si sfidano tra loro sul terreno dell’esperienza, degli esperimenti, ma anche su quello del benessere della società al quale gli scienziati non dovrebbero mai smettere di fare riferimento quando valutano i propri risultati. Studi umanistici e scientifici troverebbero in questo caso la loro piena integrazione.

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