sabato 26 gennaio 2013

Scrivere a mano arte dell’anima


La calligrafia come tecnica innovatrice per dare originalità alla scrittura

Nicla Vassallo

"L’Unità",  26 gennaio 2013

NEL «FEDRO» PLATONE FA AFFERMARE A SOCRATE: «C’È UN ASPETTO STRANO CHE IN VERITÀ ACCOMUNA SCRITTURA E PITTURA. LE IMMAGINI DIPINTE TI STANNO DAVANTI COME SE FOSSERO VIVE, ME SE CHIEDI LORO QUALCOSA, TACCIONO SOLENNEMENTE. Lo stesso vale anche per i discorsi scritti: potresti avere l’impressione che parlino, quasi abbiano la capacità di pensare, ma se chiedi loro qualcuno dei concetti che hanno espresso, con l’intenzione di comprenderlo, essi danno una sola risposta e sempre la stessa. Una volta che sia stato scritto poi, ogni discorso circola ovunque, allo stesso modo fra gli intenditori, come pure fra coloro con i quali non ha nulla a che fare, e non sa a chi deve parlare e a chi no». Come dare torto a Socrate, specie di questi tempi, in cui ogni discorso circola ovunque, senza pudicizia alcuna?
Oggi non solo c’è chi straparla, ma anche la scrittura è stata stravolta: i più hanno cessato di scrivere a mano per digitare sui tasti di computer, smartphone, tablet. Certo, ben prima, Johann Gutenberg ha inventato la stampa: una rivoluzione (buona o cattiva) che ha reso la Bibbia un best-seller. E ora, da alcuni anni, un’altra rivoluzione ci sta frastornando, forse con maggior potenza di quella di Gutenberg: non solo non scriviamo più a mano, ma leggiamo meno carta, leggiamo e-book, grazie a cui la pessima trilogia di E. L. James ha dominato per mesi la scena letteraria mondiale.

LA MANO DI BARTHES

Lo scrittore Nicholas Carr ci avvisa da tempo dei pericoli della rete, dell’utopismo tecnologico e dell’amoralità del Web 2.0 (vedi il suo Internet ci rende stupidi?, Cortina Editore, nonché il suo blog Rough Type). Del resto, l’informatico Jaron Lanier (vedi il suo Tu non sei un gadget, Mondadori) si scaglia contro l’aberrazione del populismo web, nemico di qualità e creatività. Ancora, alcuni studi psicologici attestano le scarse prestazioni cognitive dei nativi digitali, in fatto di concentrazione e memoria, nonché in termini di pensiero critico. Eppure alla rete, al computer, agli annessi ammennicoli non possiamo, né dobbiamo rinunciare. Si tratta però di tecnologie da impiegarsi con oculatezza, senza esasperazioni e dipendenze. Abusare di loro e astenersi dalla scrittura a mano è una forzatura da evitare: «Pur giudicata un lusso, la scrittura a mano, oltre che accessibile a tutti, sostiene Francesca Biasetton (www.biasetton. com), calligrafa professionista e presidente dell’Associazione Calligrafica Italiana è una competenza libera, familiare, affabile. Ogni scrittura a mano si rivela però originale e denota la preparazione e maestria di chi scrive. La penso come il Roland Barthes di Variazioni sulla scrittura: «Dalla parola scritta, potrei risalire alla mano, al muscolo, al sangue, alla pulsione, alla cultura del corpo, al suo godimento». Certo, non tutti si è calligrafi. Il calligrafo contemporaneo, vero e proprio, ha una professionalità specifica, derivata da anni e anni di studio, pratica, esercizio. Quando ci si affida a un calligrafo, lo si fa perché si desidera una scrittura unica, unica non solo dal punto di vista estetico strettamente contemporaneo». Così la calligrafia, lungi dall’essere all’antica, si presenta come una tecnica e, al contempo, un’arte innovatrice, progressista: viene impiegata per brochure, ceramiche, copertine di dischi e libri, inviti, lenzuola, lampade, loghi, menù, payoff, partecipazioni (di nozze e non), pubblicità, slogan, titoli di film, vestiti.
Se abbandoniamo la scrittura a mano, ci consegniamo a tipi di caratteri (font, per la precisione) che di noi rivelano poco o nulla. Un giorno impiego il Times New Roman e un altro giorno il Cambria: che differenza fa visto che molti altri individui impiegano i medesimi font? Nessuna, mentre la disponibilità di tanti tipi di caratteri non rende meno anonima la nostra scrittura digitale. Rimane pur sempre una questione di qualità, non di quantità, e la prima la riscontriamo nella scrittura a mano. Dunque, a differenza di Socrate, direi che sì scrittura e pittura sono di questi tempi accomunate, sebbene alcune scritture e immagini vivano, parlino, mentre altre tacciono.
Tacciono i tanti font che imitano la scrittura a mano. Li ritroviamo ovunque, specie sulle pagine pubblicitarie (così, almeno io, confondo un prodotto pubblicizzato con un altro), ma pure (a mo’ d’esempio) sui menù al ristorante. Sono tanti e si stanno moltiplicando provate anche solo a dare un’occhiata a quelli che vi offre il programma di scrittura del vostro computer. Con cosa abbiamo a che fare quando ci affidiamo a un font simil-scrittura-a-mano? Con un falso, o con un falsario, che depreda la nostre mani, cancella l’intimità del legame tra le mani, lo strumento di scrittura, il destinatario, invalida le nostre individualità. La tua scrittura non è la mia scrittura, e, tra l’altro, la tua, al pari della mia, muta in base allo stato d’animo in cui ci si trova, a cosa si sta scrivendo, a chi ci si indirizza. Sebbene esistano tanti modi di scrivere a mano quante sono le persone che a mano scrivono, non tutte queste ultime sono calligrafi, professionisti della bella scrittura. A dispetto di ciò, rimane pur sempre arido un font che imita la scrittura a mano, diffondendo in effetti una sorta di squallore che la grafia, anche quando goffa, non presenta. La scrittura a mano rimane un prodotto prezioso, e ciò vale in misura esponenziale per calligrafia. Tanto più in quanto la bellezza è in sé preziosa, mentre un falso non contiene né eleganza, né onestà. Del resto, Dante (memorabile il suo incontro con Mastro Adamo, falsario del fiorino, e quanto Virgilio apprezzi poco lo spettacolo) ha collocato la bolgia dei falsari all’Inferno. Eppure i falsi vanno di moda: li troviamo qui e là, ascoltiamo falsità, acquistiamo prodotti falsi.
F. Biasetton,Untitled, Gouache on cardboard, 2004

Ci si dovrebbe turbare - continua Francesca Biasetton - anche perché, per riprendere le parole di Roland Barthes, “la scrittura manoscritta resta miticamente depositaria dei valori umani, affettivi; introduce del desiderio nella comunicazione”. Tra questi valori umani e affettivi annovero le regole. Ogni calligrafo professionista conosce bene le regole della calligrafia e, impiegando queste regole, mostra rispetto e affetto per il proprio committente. Scrivendo a mano si comunicano non solo contenuti, ma pure segni che trasmettono armonia, grazia, eleganza, equilibrio, proporzione. E si riesce perfino a comunicare, senza comunicare contenuti. Parte del mio lavoro la dedico all'asemic writing, ovvero a una scrittura priva di semantica. È una scrittura illeggibile, se così ci può esprimere, che però non tace, anzi».
Dietro ogni scrittura si trova un pensiero. La sua creatività, genuinità, profondità, intelligenza dipende dal mezzo. Forse, le cose stanno ancora diversamente, almeno secondo Friedrich Nietzsche: «I nostri strumenti di scrittura hanno un ruolo nella formazione dei nostri pensieri». Ciò non deve ineluttabilmente significare un’opposizione tra mondo calligrafico e mondo digitale. Pensiamo a Steve Jobs. Nel suo famoso discorso alla Stanford University, ha dichiarato di aver frequentato corsi di calligrafia al Reed College, nel cui campus ogni poster ed etichetta erano in calligrafia. Jobs ne rimase affascinato. Corsi e fascino inutili? Non per il pensiero, né per la creatività. Difatti, come ha sottolineato lo stesso Jobs, proprio a quei corsi e a quel fascino si deve la progettazione del primo Mac, «il primo computer dalla bella tipografia».

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