domenica 6 gennaio 2013

La balla dei nativi digitali


Roberto Casati

"Il  Sole 24 Ore", 30 dicembre 2012

Dopo aver tanto sentito parlare di 'nativi digitali' e' giunto il momento di introdurre nel dibattito una nuova categoria, quella dei coloni digitali. I coloni digitali hanno una missione intellettuale: fornire pezze d'appoggio alla penetrazione della tecnologia digitale in aree che per il momento ne sono libere, in primis la scuola. Lodano sperticatamente le iniziative concitate di ministri che hanno fretta (permettere l'acquisto disgiunto dei testi scolastici in formato elettronico), parlano di 'rivoluzione epocale', la paragonano a quella di Gutenberg, nientemeno, addirittura e incredibilmente lamentano la 'scarsa attenzione' dei media alla novita'. Avanzano argomenti eterogenei come il risparmio di carta, la smaterializzazione, la necessita' di collegare la scuola alla societa'; dato che la' fuori tutti userebbero ormai l'iphone o omologhi, deplorano che la scuola resti al palo, rischi di perdere il treno elettronico. Giustamente incerti sulla forza retorica di queste considerazioni, non esitano a invocare come un mantra categorie ambigue che ritengono scientifiche, come quella dei nativi digitali. In assenza completa di dati a loro favore, ci frastornano di aneddoti: i nativi digitali 'hanno spesso poche motivazioni a stare in classe. Uno di loro, su un blog, ha scritto recentemente una frase emblematica: 'Se la noia fosse un fossile la scuola sarebbe un museo' ' (Pirani).
Ma i nativi digitali non esistono: non nel senso in cui si interpreta di solito questa ambigua descrizione, non nel senso molto preciso in cui si parla di madrelingua. Ci sono invece bambini che sono stati abituati a interagire con degli schermi e delle interfacce elettroniche di varia natura. Questa e' una semplice e controversa abitudine, non l'alba di una nuova specie (che diamine, e' stato detto anche questo (Ferri):'una nuova specie, gli alieni sono tra noi'). Non si accompagna nemmeno a chissa' quali nuove e straordinarie competenze, non da' luogo a una specifica 'intelligenza digitale', e gli stessi coloni hanno qualche difficolta' a dirci precisamente che cosa siano le caratteristiche specifiche di questa pretesa novita' psicologica. E poi, se anche fosse? Se l'abitudine fin da piccoli alla playstation facesse veramente si' che i bambini e gli adolescenti si annoino a stare in classe?
Ebbene, chiediamoci qual e' il male, quale il rimedio. Qui i coloni digitali ringhiano ancora di piu', perche' loro si' che lo sanno: la colpa sarebbe degli insegnanti, troppo vecchi, quindi refrattari alla 'trasformazione'. Non sarebbero in grado di adattarsi alle abitudini dei nativi, stampano le email, non stanno su facebook e bisogno dir loro come accendere la lavagna elettronica, sono dei bradipi 'gutenberghiani'. Non ci fosse di mezzo l'avventura difficile di una categoria di lavoratori mal pagati che fanno un lavoro eroico per i nostri figli, verrebbe voglia di fare qualche commento ironico su codesti argomenti. Suvvia. L'abitudine a cioccolatini e caramelle non fa si' che i bambini trovino frutta e verdura noiose? L'abitudine a stare in poltrona non vi fa trovare fastidioso l'esercizio fisico? L'abitudine a dire parolacce e a non usare i congiuntivi non fara' trovare noioso il modo compito di parlare della prof di italiano? Possiamo anche decidere di abolire ginnastica, dietologi dalle mense scolastiche, e sinanco il congiuntivo a lezione. La controprova flagrante che quella dei nativi digitali e' una favola viene dai nonni digitali. Guardatevi intorno: gli alieni sono veramente tra noi. La signora attempata che in autobus fa scorrere il dito sullo schermo tattile dello smartphone, nonno Paolo che fa skype e babysitting a distanza, la zia Pina che programma il navigatore per andare a trovare un cugino a Lecco, la mamma amorosa di Campobasso che grazie alla rete fa consegnare a domicilio la spesa al figlio studente a Magonza. Pensateci un momento. Siete Apple o Samsung o Sony o Google. Il vostro target e' l'universo mondo. Non vi bastano certo i bambini e gli adolescenti. I vostri prodotti sono fatti per essere usati anche da un bambino, certo: e' la frontiera del design totale, che rende la tecnologia trasparente. Se esistesse una specifica intelligenza digitale che solo i nativi hanno, il dipartimento di ricerca e sviluppo di tutti questi Lord Digitali chiuderebbe dall'oggi al domani. I coloni credono fortissimamente che la tecnologia migliorera' la resa scolastica. Ma i rari studi disponibili mostrano che gli incrementi dei risultati scolastici (una delle poche cose misurabili, non parliamo mica ancora dello sviluppo morale e intellettuale delle persone) laddove si usano le tecnologie a scuola hanno due tristissime caratteristiche: sono marginali, e sono correlati con le categorie socioeconomiche. Se vieni da un ambiente culturalmente ricco - e magari ti hanno fatto leggere libri e fatto suonare uno strumento invece che darti il tranquillante della playstation - poi quando hai a disposizione le tecnologie fai faville. Perche'? Perche' le avresti fatte comunque. Come ha detto Kentaro Toyama (Berkeley): non ci sono scorciatoie tecnologiche per un'educazione di qualita'. I coloni digitali hanno bisogno della favola dei nativi digitali per il loro vasto progetto di penetrazione tecnologica fine a se stessa. L'inventore del termine (Prensky) non e' uno psicologo o un sociologo, e' uno che produce videogiochi. Ma la favola e' soltanto una favola. La riflessione sulla scuola, sul suo ruolo nella societa', e soprattutto sul suo ruolo nella vita delle persone, merita di meglio.

2 commenti:

  1. bellissimo! e molto molto interessante

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  2. Considerazioni interessanti che aiutano a riorientare la riflessione su questo tema: che tuttavia resta controverso soprattutto se si considerano i risultati che le nuovissime generazioni ottengono nell'apprendimento.Il dibattito merita di più che qualche battuta, purtroppo, e il tema non è certo la sciocca questione se i nativi digitali esistano o meno ma quale sia l'impatto permanente che sulla capacità di apprendimento ha l'uso continuativo (e quanto pare irreversibile) delle nuove tecnologie per l'accesso alle informazioni e alla conoscenza.

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